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L’accoglienza dei giovani in difficoltà

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Ci voleva la vivacità tutta toscana del dott. Pier Luigi Ricci a motivare e ricaricare quanti sono intervenuti lunedì 15 febbraio 2016, alle ore 21,15, presso il salone parrocchiale di via del Timone a Civitanova Marche, al terzo incontro promosso dalla Caritas di Civitanova e dalla Parrocchia di San Pietro e Cristo Re, per operatori Caritas e volontari della Tenda di Mamre. Laureato in Pedagogia, sessantenne, sposato, papà di un ragazzo di vent’anni, Pier Luigi Ricci, educatore presso il Centro Solidarietà di Arezzo, ha esordito dicendo che il mondo andrà avanti finché ci saranno i preadolescenti che ci interpellano sui nostri modi di essere adulti. Chi vive come educatore in mezzo ai giovani deve dotarsi di una “cassetta degli attrezzi” dalla quale cavare di volta in volta ciò che serve per mettersi in gioco. Un valido educatore è chi sa fare delle domande più che dare delle risposte.

Alzare il proprio ruolo, dicendo al giovane drogato, con disturbi della personalità e altri comportamenti devianti, ciò che deve fare per essere accettato, è mettersi fuori strada e non avere dal giovane nessun aiuto. Nel gioco delle parti, chi ha da perdere è sempre l’adulto. Se il giovane nota che tra lui e l’adulto viene alzato un muro fatto di recriminazioni, di giudizi morali e di condanne, per lui è un gioco aumentare il livello dello scontro. La stessa cosa avviene tra marito e moglie quando ognuno accusa l’altro o l’altra di torti subiti, in un crescendo di esasperazioni. In questo modo è preclusa ogni forma di dialogo e di apertura verso l’altro. Un altro modo per avvicinare i giovani bisognosi del nostro aiuto è far sentire loro che ci commuoviamo alle loro storie. Stare con i giovani e ascoltare con attenzione il loro vissuto richiedono anche che anche noi manifestiamo a loro i nostri sentimenti. Il dolore è un’esperienza comune, che tocca educatori e giovani, ha bisogno di parole per essere manifestato e compreso. Tutti siamo in questo mondo per fare un tratto di strada insieme. Questo non lo si dirà mai abbastanza. Si è sempre grati, anche a distanza di tanti anni, verso chi ha usato con noi parole di stima, di incoraggiamento e di fiducia. Non lo sappiamo, ma a una parola detta con il cuore, vale più di mille discorsi contorti e bugiardi.

Certo chi non è più giovane, ricorda anche con amarezza le cattiverie subite da parte di chi tanto tempo fa era il proprio docente, educatore era un termine inusitato allora, ma anche questo fa parte del gioco della vita. Questo lo si capisce quando si è fatta esperienza di uomini e di cose. Non diciamo poi che l’attuale generazione dei giovani è peggiore di quelle che ci hanno preceduto. I problemi non si risolvono mai con un giudizio morale. Agli educatori ed ai genitori è fatto l’obbligo di dare sempre fiducia ai propri figli e ai giovani con i quali si vive e si cresce insieme. Sono loro a farci maturare. Accompagnamento, fiducia ma anche fermezza, quando occorre, sono strumenti da usare sempre, tirandoli fuori da quella cassetta degli attrezzi da portare come una bisaccia, cascante sul davanti, in modo da capire subito quello che serve al momento.

Certo, nei giovani dei nostri giorni ci sono molte cose diverse dai loro coetanei degli anni novanta del secolo scorso. Allora si assumevano droghe ed alcol per essere contro la società. Oggi si assumono sostanze stupefacenti per essere dentro al mondo con spavalderia ed arroganza. La legge del branco poi fa il resto. Ci si dà all’alcol per essere accettati dal gruppo, diversamente si è giudicati tocchi e stupidi. Ma se si prospetta ai giovani la possibilità di divertirsi senza alcol, dando loro degli spazi dove potersi incontrare, i giovani ci stanno e ci seguono, ma devono essere sempre loro a scegliere. Buon educatore è chi sa declinare fermezza, dolcezza ed attaccamento verso i giovani visti come un qualcosa di prezioso ai suoi occhi. L’onestà e la sincerità pagano sempre. Molte sono state le domande rivolte dal pubblico, attestante sulle quaranta presenze, al relatore che ha invitato un po’ tutti a sapere usare il “tonto che c’è in ognuno di noi”, che non vuol dire dabbenaggine. •

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