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In vino… marchigianitas!

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La cultura della vite e della vita

Tra l’8 e il 12 aprile si sono tenute cinque delle giornate del vino più note in Italia. Da ViniVeri di Cerea (Vr), passando per VinNatur di Sarego (Vi), al Vinitaly di Verona, l’intero microcosmo del far vino si è lasciato gustare in pienezza raccontando veracemente delle nostre “viti” e delle nostre “vite”, con quel prezioso linguaggio che solo un elemento trasformato da mani d’uomo così antico e naturale sa fare. Per questo, sulla scia dell'”in vino veritas” decantato da greci e latini, vale anche: “in vino… marchigianitas!”.

Alla 13esima edizione di ViniVeri di Cerea, infatti, dentro un’ampia struttura ex industriale, tra il centinaio di produttori, nazionali e non, che hanno raccontato del loro vino naturale e “responsabile”, erano presenti anche alcune aziende del nostro territorio. Lungo i banchi di assaggio era possibile incontrare una donna produttrice di vino come Maria Pia Castelli di Monte Urano, e attraverso il suo rosato Sant’Isidoro, capire la sua naturale “filosofia” – curioso e forse non scontato che sempre di più in questo ambito si parli di filosofia – mentre dirimpetto era il fronte piceno a raccontare di sé e del proprio “bordò”, attraverso due personaggi fuori dagli schemi come Marco Casolanetti di Oasi degli Angeli, Cupra Marittima, e Walter Mattoni dell’omonima azienda a Castorano (AP).

Se al VinNatur era presente solo un vignaiolo di Morro D’Alba, inaspettatamente di provenienza toscana, è nella cornice di un Vinitaly a detta «più ordinato e selettivo» forse perché giunto alla sua 50esima edizione, che si è ritrovata una piacevole presenza del tutto fermana. E ciò gustando insieme al signor Mario Di Ruscio il pecorino vincitore dello scorso premio san Martino d’Oro, come anche i vini “faleri” della cantina Rio Maggio di Montegranaro. «Peccato ancora la nostra divisione interna», confida Paola Cocci Grifoni di San Savino di Ripatransone e membro della commissione conferente il san Martino d’oro, di fronte al suo Offida pecorino “Colle Vecchio”. Una divisione che rischia di penalizzare la forza comunicativa dell’eccellenza enologica marchigiana. Che a suon di brindisi si possa meritatamente ricongiungere e far parlare della nostra saporosa e variegata marchigianitas! •

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