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A piedi nudi sul prato

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Smerillo: “Le parole della montagna” su una moda del momento 

“Scalzasi Egidio”, dice Dante (Par., XI, v 83), ma Egidio non si scalza. Al Festival di Smerillo (18-24 luglio), si celebra l’esperienza del camminare a piedi nudi, la riscoperta di un modo di vivere la vita al quale i nostri antenati erano abituati e noi non più. Conosco, nell’occasione, un ragazzo di Amandola che da circa un anno va sempre a piedi nudi. Convincente. Interessante.
Simonetta Paradisi – puella nuda pedes – mi intima di partecipare a una riflessione guidata sul prato antistante porta nord e prospiciente, dall’alto, la “fessa”. La guida un maestro della deambulazione scalza, che ha fatto della stessa un resetting esistenziale. Dopo la “filosofia del camminare” di Duccio Demetrio, ora la “filosofia del camminare scalzi” del simpatico accattivante Andrea Bianchi. Molto singolare l’osservazione di un signore che ha addirittura provato, per un certo tempo, la sensazione che, a contatto diretto con il suolo, le sue morbidezze e scabrosità, i piedi e le dita sentissero, vedessero, decidessero da soli.
Tra la decina di persone presenti sono il solo a calzare scarpe da marcia, e noto con curiosità l’atteggiamento partecipe, e quasi religioso, degli astanti e l’assetto/aspetto dei loro piedi tra l’erba fresca di brezza. Chi prende parte alla riflessione sottolinea il cambiamento di veduta sul proprio sé e sul mondo che il camminare scalzi induce, quasi che l’“io” di ciascuno diventi più “io” a contatto diretto con il “tu” della terra. E mi torna in mente il mito del gigante Anteo, figlio di Gea (la Terra), che, lottando con Ercole, ogni volta che questi lo atterrava riprendeva vigoria cadendo tra le “braccia” della madre.

Da un punto di vista fisiologico, se si cammina scalzi cambiano i segnali posturali, sensoriali e propriocettivi, e il cervello li elabora in modo innovativo, coinvolgendo non solo il sistema motorio, ma altresì quello emotivo e delle empatie, nonché quello immaginativo. È chiaro che, così deambulando, si modifica il proprio neuropsicostato e l’annessa visione della realtà, che si farebbe – sostengono gli appassionati – addirittura più in linea con la natura della terra e dell’intero cosmo. C’entra anche la percezione subliminale della magica frequenza di Schumann?

Ma – mi chiedo – può il semplice camminare scalzi modificare radicalmente il nostro essere nel mondo, o quanto meno il suo senso, o si tratta di un atteggiamento estetizzante e vagamente à la page? Di una divagazione raffinata ed extracolta? Di coltivati esoterici sfioramenti del Tao dell’universo? Di fruizioni di trascendentali ireniche “nuove ere” nelle quali l’uomo in piedi su piedi denudati riattiva il contatto, prima escluso dai calzari, fra le dimensioni uraniche dell’infinito e quelle “gaie” della terra? Oppure, e qui mi ricollego a Dante, si va a camminare scalzi perché è già cambiata la “filosofia” dell’essere nel mondo? Perché già si contesta l’innaturale modo di vivere quotidiano, costretto tra le suole del consumismo, le tomaie del conformismo e i lacci dell’asservimento pubblicitario?

Bernardo, Egidio e Silvestro “si scalzano” dietro a San Francesco perché hanno riconosciuto uno scopo più alto all’essenza della vita. Qualcosa del genere ha “colpito” i presenti? Preferisco questa seconda ipotesi, e in verità mi sembra di rintracciarne indizi in coloro che ora vedo incedere tra l’erba aulente del prato.

Saluto tutti e cerco l’altro Egidio, quello smerillese, amico, coetaneo e già sindaco di lungo percorso. Lui non ha tolto le scarpe. Non ha bisogno di farlo per recuperare l’essenziale del vivere. Quattro chiacchiere di fronte a uno splendido tramonto sui Sibillini; poi lascio Smerillo, la montagna, per la città del traffico gommato e delle relazioni complicate con il mondo, con sé stessi e con gli altri. Lungo la strada, mentre ormai annotta e mentre guido, avverto le scarpe più pesanti del solito: suggestione o ammaestramento? •

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