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RITRATTI: Benito Coltrinari

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Il fiume Tenna scorre a poche decine di metri. La campagna è ancora verde. Poche le case. Benito Coltrinari lavora in una di queste. È qui dove, al primo piano dopo scale scandite quasi da un quadro (il suo) a gradino, ha allestito il laboratorio: macchina per cucire, libri d’arte, stoffe e abiti appesi. Abbigliamento per lo più rinascimentale. Benoit (il nome per gli amici) tira fuori un capolavoro: la copia perfetta del vestito giallo ocra di Eleonora d’Aragona andata sposa a Federico III. Benoit ci ha lavorato tanto: prima lo studio del dipinto ricorrendo ad una lente d’ingrandimento, poi il disegno, poi il ricamo, poi le cuciture a mano. Impegno certosino, di lunga durata. Pezzo forte della sua collezione. Altri abiti sono andati alla Giostra dell’Anello di Servigliano, all’Armata di Pentecoste di Monterubbiano, poco ai grottesi Giorni di Azzolino.

reikiNell’edificio dirimpetto, altro laboratorio: di restauro, pittura e sculture in cartapesta.

La storia di Benoit è complessa. La racconta quasi sorridendo, quasi sereno, anche se un artista non è mai tranquillo, lo morde l’insoddisfazione di voler continuare la Creazione.

Un tumore gli ha segnato la vita. Tumore al rene: la diagnosi dei sanitari.

Benito, dopo l’Accademia delle Belle Arti di Bologna, era entrato gradualmente nel mondo della moda. Prima, il ripasso a china di alcuni disegni di Silvana Di Felice, poi il proprio disegno per maglie e confezioni da bambino, quindi la grafica per l’abbigliamento di grandi firme. Mentre è avviato ed è in crescita, arriva la sentenza dei medici: restano sei mesi di vita. Tutto cambia. Decide allora di tornare nella sua campagna grottese. Di passare i 180 giorni restanti vivendo appieno l’ultimo tempo utile fuori dalla caoticità delle città. «Qui c’era tempo per me» dice oggi con un pizzico di malinconia negli occhi.

Ma le cose ancora una volta mutano. L’operazione cui si sottopone all’ospedale di Fermo riesce. Un miracolo? Lui non lo dice. Di fatto, la vita è salva. Inizia così una nuova stagione.

Benoit ha imparato il restauro a Siena, nella «bottega» di Marisa Casale che lo ha chiamato a sé. Si fa restauratore e anche decoratore. Quindi l’incontro con il Reiki, «una pratica spirituale usata come forma terapeutica alternativa per il trattamento di malanni fisici, emozionali e mentali». Un modo per risvegliare lo spirito che ha conseguenze anche sul lavoro. Benoit inizia a costruire quadri particolari con supporti in legno e rame, con materiali trovati in giro (anche fondi di caffè). È la riproposizione di tre forme geometriche: triangolo, quadrato e cerchio, dove gli opposti si toccano e tutto è riconducibile ad un punto: origine e fine.

Come si chiamano? «Ognuno dia il suo nome». Libertà.

Benito Coltrinari è nato a Grottazzolina il 26 maggio del 1967.

A Fermo ha frequentato l’Istituto d’Arte, corso di disegnatore e arredatore. Dopo il diploma, si è spostato a Bologna per iscriversi all’Accademia delle Belle Arti. Dove si è laureato in scenografia.

Nel suo laboratorio ci sono pile di libri in verticale: romanzi, saggi per lo più, che Benoit ha divorato nel tempo. Da 13 anni però ha scelto di non leggere quel tipo di pubblicazioni, solo riviste e libri d’arte. Perché? «Meno sai meglio stai» risponde ridendo. Ama anche la pittura figurativa. Nel suo laboratorio bis campeggia una decollazione di san Giovanni.

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