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Delitti (umani) e castighi (divini)

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Non disgrazie ma grazie per un cammino dalla fragilità alla perfezione

Riguardo a Dio l’uomo si costruisce immagini (idoli) che ripetono e assecondando le proprie fattezze e debolezze (e sciocchezze), e quando quelle immagini non soddisfano più, se la prende non con sé stesso, come dovrebbe, ma addirittura con Lui: reazione tipica di un infantilismo senza confini.
Il caso del cosiddetto “castigo” divino è, in tal senso, emblematico: dato che siamo abituati a sperimentare il carattere afflittivo e vendicativo del castigo umano, fatto di “violenza” fisica e/o psicologica, ancorché a fini “riabilitativi” e di correzione, siamo persuasi che la stessa logica valga per Dio – e non la pensano così solo gli atei o gli irreligiosi.
Ma se Dio è Amore, come affermano la Scrittura e le migliori esperienze di vita religiosa, non può fare né volere il male dell’uomo, né può gradire la sua sofferenza morale e fisica. Non può evitare, però, che questi, proprio per la sua condizione di finitezza itinerante verso una compiutezza che non sarà disponibile durante il cammino, si trovi in uno stato di provvisoria e obbligata fragilità che lo espone al gravame, anche tragico, delle prove naturali.
Prove (peraltro in rapporto con il positivo dinamismo evolutivo della natura stessa, il quale è in sé buono) che sarebbero, comunque, molto meglio sopportabili, se l’umanità non provvedesse per suo conto ad allagare di male la propria abitazione: male individuale compiuto ai danni del prossimo in ossequio e assoggettamento alle libidini del potere, del possesso, della concupiscenza; male strutturale, allorché le società e gli stati organizzano le loro forme, la loro esistenza, il loro funzionamento, il loro ruolo in modo da facilitare la fruizione, l’estensione e la prevalenza di quelle stesse libidini nell’agire umano.
In simile congiuntura di “male” naturale e di male della storia, Dio non viene a portare altro male, quanto piuttosto a liberarci dal male, condividendo il nostro itinerario e spingendo la sua condivisione fino a identificarsi con l’uomo sofferente, e fin dentro le prove e le stigmate indotte dalla precarietà dell’esposizione alla natura e dalla malvagità umana.
È appunto qui che un eventuale provvido e salvifico patto di reciproca fiducia tra l’uomo e Dio può – per chi lo voglia – trasformare il male in invito e occasione di conversione (metànoia) e maturazione, e le prove da dolorose in preziose. Anzi, indispensabili.
Infatti, in quanto esseri dalla volontà e libertà circoscritte, uno stato di provvisorio perfetto benessere e di perfetta sicurezza ci farebbe dimenticare ben presto la mèta; la quale, dal punto di vista di Dio, è l’unica cosa che conta. Pertanto, solo uno stato d’indigenza perfetta e radicale può metterci in cerca di quanto di positivo ci manca.
Può, ma non è detto che lo faccia, perché il potere (e il relativo dramma) della nostra libera volontà – per quanto, come detto, circoscritta – è un potere reale, e così possiamo ostinarci a inseguire l’illusione di una compiuta felicità all’interno della dinamica dei mali della storia, ricercando non i beni la cui condivisione (amore, agápe) arricchisce tutti e conduce a Dio (o éschatos o anà), ma quelli il cui godimento è frutto d’interdizione reciproca (odio, échthra, mísos, apéchtheia; competizione, pόlemos; violenza, bía) e che conducono, se non si opera un’inversione di rotta, al fallimento, al nulla, all’infernalizzazione presente e futura dell’esistenza (tò éschaton tò katà).
Nella prospettiva di un tale disastro, Dio non sempre può tollerare ciò che spesso noi bramiamo, e può bene “approfittare” anche delle ineluttabili catastrofi che Natura dispone, se Gli servono per farsi a noi più prossimo e ostacolarci un po’ la strada che conduce alla perdizione.
È questo, dunque, il “castigo” di Dio: non invio di disgrazie – ce ne sono già abbastanza tra inevitabili e deliberate -, ma utilizzo delle stesse per sollecitare e migliorare la resa della “peregrinatio” dell’uomo dalla provvisorietà alla compiutezza, dalla fragilità alla perfezione, dal male morale alla fioritura del bene, dal fallimento alla riuscita, dalla sconfitta alla vincitrice salvezza. •

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