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Timore e tremore

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Le chiacchere stanno a zero: rimbocchiamoci le maniche e preghiamo

“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, scriveva dal fronte Ungaretti -“corri cavallo corri ti prego fino a Samarcanda io ti guiderò”, cantava Vecchioni… di fronte a una tragedia di questa portata si rischia di dire “il troppo e ‘l vano”, di scivolare nella retorica del pietismo e di raccontare i soliti luoghi comuni. Mi sforzerò di accostarmi pudico a una sofferenza senza nome.
La dynamis che è principio di vita è “paradossalmente” causa e teatro di morte, dell’effetto domino di deflagrazioni che radono al suolo interi paesi interi civiltà – ricominciare da capo, questa è la parola d’ordine, la password un po’ troppo abusata – come si fa a ricostruire gente e paesi che hanno una loro peculiarità, caratteristiche inseminate nel tempo, in quel suolo che li ha violentemente strappati alle loro radici?
Come dicevamo il principio biologico, oserei dire contraddicendosi, diventa fattore di morte. A rischio di infastidire il lettore narrando di cose già dette e sentite e sofferte e subite al di lá di ogni possibilitá di resilienza, mi sento di condividere la sorte di queste povere genti; ma la parola è muta, può solo sfiorare con ali di farfalla, sospesa tra terra e cielo, le cose perché si dia un senso a quello che apparentemente non ne ha, se non in termini di distruzione.
Pure, non c’è mai una fine, ma soltanto un rigenerarsi della natura che ubbidisce a leggi cui non è dato derogare: siamo noi che l’abbiamo voluta piegare alle nostre comode abitudini e stolide necessitá, senza fare i conti con teoremi scritti ab aeterno: la natura fa il suo corso – che non sempre gli uomini rispettano – perché la vogliono addomesticare. Ma la natura poi si vendica, come il corso d’acqua che viene violentemente deviato prima o poi ritroverá il proprio corso tracimando e devastando tutto ciò che incontra al suo passare.
Qualcuno ha detto che questo tremendo sisma sia stato indotto da bombardamenti della ionosfera; qualcun altro delle alte sfere – anathema sit! – che è un castigo di Dio per costumanze poco commendevoli. Come essere dotato di un “io penso”, a parte la seconda “lettura” integralista del fenomeno che non ha bisogno di commenti- tanto è ripugnante e irrispettosa dell’Alterità -, non ho gli strumenti per pronunciarmi; pure, se cosí fosse  non mi stupirei più di tanto, vista la cattiveria e la cupiditas ormai incancrenite dell’homo homini lupus.
Ma le chiacchiere, come si dice in gergo frusto, stanno a zero. Allora: spendiamoci per chi non ha più un tetto, per chi ha visto spazzato via tutto dalla furia devastatrice di un elemento ingovernabile; rimbocchiamoci le maniche come meglio possiamo, offriamo una parola di conforto ascoltando il fratello. E se anche non si voglia ripensare questa immane catastrofe – che troppe lacrime ha chiesto come tributo – in chiave Altra, su tutto si levi, alta e diuturna, la preghiera. •

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