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“L’aborto va perdonato”?

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Si corre il rischio di incentivare quel relativismo che fa rima con nichilismo

“Perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto”.
Nella Lettera Apostolica a conclusione del Giubileo firmata il 20 novembre scorso in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha reso definitive le facoltà concesse “limitatamente al periodo giubilare”. Per il Pontefice “l’aborto rimane un grave peccato” – un “crimine orrendo”, come aveva detto ieri – perché “pone fine a una vita innocente”.
“Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre”, spiega però Bergoglio, “Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”.
Sì, la Misericordia. “Nell’insegnamento di Gesù la misericordia non è solo l’attributo divino per eccellenza, ma la regola d’oro del discepolo. San Luca trasforma il detto di San Matteo “essere perfetti come il Padre celeste” in “siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”. Siccome il nostro tempo è il tempo della misericordia, chi vuole essere perfetto lo sarà nella misura in cui sarà misericordioso. Senza parlarne a sproposito. Agendo in verità. Non a difesa di una dogana. Ma come portieri di una casa paterna sempre aperta.” (così la conclusione di una delle catechesi del Vescovo di Oristano).
Lasciamo stare codici e pandette di diritto canonico, Dies irae e fiamme dell’Inferno.
Questo revirement epocale interroga la coscienza di ognuno di noi. Al riguardo, la pagina del Vangelo di Lc 10, 25-37 è, insieme alla parabola del figliol prodigo, tra le più “folgoranti” e poetiche al tempo stesso. Ma, calata nel contesto attuale, dove impera il relativismo etico e a tutti è concesso (di fare) praticamente tutto, secondo un metro di valutazione personalistico, la storica decisio desta, quanto meno in chi scrive, perplessità. Non tanto di ordine teologico- pastorale, quanto, appunto, di matrice “secolare”. Ferme le parole, come sempre cristalline e persuasive, del Pontefice, non è infatti troppo lontano dalla realtà immaginare uno scenario di permissivismo, tale per cui la soppressione di una vita in divenire – tanto verrà perdonata, “cassata” dallo Sguardo benevolo dell’Onnipotente, tramite i consacrati… – sia un peccato (amarthia) come un altro. Si corre così il rischio di incentivare quel relativismo (che fa poi rima con nichilismo), in nome del quale la sovranità spetta al singolo, faber fortunae suae, non dico col beneplacito, ma con la garanzia dell’”immunità” da parte della Chiesa. Pensiamo – anche se le tematiche si pongono su binari differenti – alle animose dispute che a suo tempo divisero i fautori da una parte del divorzio sì, dall’altra del divorzio no: alla fine prevalse la prima “opzione”, e gli effetti – mi astengo da considerazioni d’indole socio-psico-pedagogica, non essendo questa la sede per approfondimenti da questo punto di vista – sono sotto gli occhi di tutti. Troppo facile consacrarsi davanti all’Altare, e poi rinnegare la promessa solennemente fatta. Si fa e si disfa. Sic et simpliciter… Idem di fronte alla “sana incoscienza” di tanti (giovani, in particolare): il metodo non ha funzionato, no, volevamo solo…e allora…
La via verso la deresponsabilizzazione è aperta. Piaccia o no. La coscienza è il Sé profondo, come insegnava Jung, e non si può fingere ab externo. Né, a mio vedere, si tratta di becero conservatorismo. Anche se qualcuno ha parlato, in seguito a questo gesto “benedicente”, di “morte della civiltà”….
“Se durante una rissa qualcuno colpisce una donna incinta e questa partorisce senza che ne segua altro danno, colui che l’ha colpita sarà condannato all’ammenda che il marito della donna gli imporrà; e la pagherà come determineranno i giudici; ma se ne segue danno, darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione”(Esodo 21,22-25).
Ferma l’esegesi del passo alla stregua di una visione “modernista” e tenendo conto delle sfide del tempo attuale, voglio ben sperare che Santa Madre Chiesa non diventi “provvidente” come Mamma Tivù (si parva licet…). •

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