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La rosa resiste al gelo

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Davanti a disastri e calamità solo un grande silenzio

Verrebbe voglia di lasciar perdere. Di non raccontarla più, questa Terra di Marca, le montagne, le colline che vanno al mare. Come per un tradimento subito e non perdonato. Come per un isterilirsi della sorgente che spinge la parola a comporsi come si compone. Verrebbe voglia di andarsene. Di chiudere capitoli di avventure.
Ma è un attimo, una reazione dell’istante. Anche comprensibile. Immutata resta però la domanda: Perché il dolore della gente e nostro? Cosa la realtà vuole dirci?
Doveva essere diverso l’attacco del pezzo. Avrebbe riguardato neve e silenzio. Poi, le scosse: tragedia su tragedia. Neve e terremoto, allora. Sofferenza di persone, animali che muoiono, la speranza che rimpicciolisce. La speranza…
Nel mio giardino è nata una rosa rossa. Una sola. Che sta resistendo al ghiaccio, che continua ad aprirsi di giorno e rinserrarsi la notte. Sta lì. Non doma. E c’è un merlo dal becco giallo-arancio, che le sta accanto, svolazzante. E c’è un passerotto che saltella cercando briciole di pane, riportando alla memoria poesie di scuola. E c’è il volto di una ragazza incontrata per strada, incrociata decine di volte e mai un sorriso. Stavolta sì, come la neve fosse complice di qualcosa di nuovo. Da condividere, pur nella durezza dei giorni.
Non so chi abbia passeggiato il Girfalco di Fermo nell’ora della maggiore nevicata, o chi abbia risalito via Brunforte, o attraversato via Sant’Anna, o disceso via degli Aceti. A campeggiare era il silenzio (ecco: lo rimetto a tema). La realtà come attutita. Come a maggior dimensione umana. Come attimo di tregua e ripensamento. Forse è per questo che la neve, comunque, piace, anche se alla lunga provoca difficoltà, ed enormi lassù tra le macerie. Ma quell’impatto iniziale rende, non dico felici, ma contenti. E non solo i bambini.
Silenzio, dicevo. Sono uscito dalla proiezione del film di Martin Scorsese Silence con un groppo allo stomaco. Tutto era giocato sul silenzio di Dio dinanzi alla persecuzione dei cristiani giapponesi e ai tentennamenti dei gesuiti sulle tracce del loro maestro Ferreira.
Ma cos’è il silenzio, forse mancanza di suono, rumore, parola? Oppure il silenzio è abitato da una voce che non è nostra e che occorre saper cogliere?
In uno stupendo film, di ben altro genere, intitolato Il Grande Silenzio, il regista tedesco Philip Gröning racconta la storia dei certosini del monastero de La Grande Chartreuse, sulle montagne vicine a Grenoble. Anche lì c’era la neve: impressionante il cumulo.
San Benedetto dava grande valore al silenzio di cui parla nel Capitolo VI della Regula. Fare silenzio è predisporsi ad accogliere qualcosa che viene dall’esterno, a capire, e a dargli forma compiuta, azione cioè.
Ha scritto due giorni fa Mauro Leonardi, riprendendo le parole di padre Giulio Michelini, che il terremoto è teofania: «Qualcosa cioè che veicola, paradossalmente, un contenuto di stampo positivo». Sembra blasfemo il solo pensarlo. Eppure, proprio dal dramma, proprio dalla durezza dei giorni presenti, può scaturire quella «speranza che mette all’opera per un mondo più solido perché più solida».
È commovente la rosa che resiste al gelo. Qualcuno l’ha mandata, qualcuno l’ha coltivata. •

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