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Parole che feriscono

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Sonia (il nome è immaginario ma i fatti no) è una giovane straniera che in Italia ha trovato l’amore. Vive insieme a un ragazzo italiano da diversi anni. Il loro è un rapporto serio e consolidato. Benchè terremotati, hanno deciso di mettere al mondo un figlio come naturale evoluzione del loro volersi bene. Pochi mesi fa, Sonia ha condiviso con gli amici vicini e i parenti lontani la bella notizia di essere incinta. Purtroppo, però, al terzo mese di gravidanza ha perduto il bambino.
“Mi sono accorta subito come di essere rimasta sola”, ha raccontato. Naturalmente si è dovuta sottoporre a un intervento di svuotamento uterino presso un ospedale. Si può bene immaginare la difficoltà di Sonia nel dovere affrontare un simile evento senza il supporto della propria famiglia, anche se il suo ragazzo le è stato sempre accanto, come pure molti amici. L’operazione non è andata bene. Dopo alcuni giorni di forti dolori e febbre si è dovuta sottoporre ad un secondo intervento chirurgico.
Una storia certamente drammatica la sua, ma abbastanza comune. Perchè la racconto?
Ora lo spiego.
Sonia non è una ragazza particolarmente religiosa. È vagamente ortodossa, ma poco praticante. Durante la degenza ospedaliera, con lo stato d’animo che possiamo facilmente immaginare, ha ricevuto la visita di un sacerdote, da lei molto gradita. Del resto chi non gradirebbe una buona parola di conforto in un momento di difficoltà?
Il sacerdote si è informato sulle sue vicissitudini, poi le ha chiesto se fosse sposata. Appena dice di non essere sposata, ma convivente da molti anni, il sacerdote inizia a tuonare contro la sua condizione di “peccatrice”, e imputa la perdita del bambino alla sua “colpa”. Parla inoltre, dell’esistenza di un arcangelo, di cui Sonia non ricorda il nome, incaricato di uccidere i figli dei peccatori.
Quando Sonia mi ha raccontato la vicenda, ho pensato per un momento di andare alla ricerca del sacerdote che predica tali scemenze e fare io l’arcangelo bastonatore.
Poi ho deciso di lasciar perdere. Ritengo, però, che le autorità ecclesiastiche dovrebbero chiedersi in quali mani mettono la presenza della Chiesa in un luogo delicato come la corsia di un ospedale.
Lì non servono preti che usano il vangelo come una specie di corpo contundente da dare in testa alle persone. Servono invece persone capaci di capire e di ragionare, e non predicatori che si sentono investiti da chissà quale missione divina.
Con i loro giudizi violenti e risentiti ottengono l’effetto di allontanare ancor più dalla Chiesa quelli che già sono lontani, e di creare serie difficoltà anche in chi, come me, pur con limiti e contraddizioni, si sente vicino alla Chiesa.
Non mi riconosco infatti minimamente nel dio giustiziere predicato da chi dovrebbe invece essere ministro del Dio di Gesù Cristo.
Concludo ricordando che l’allora Arcivescovo di Buenos Aires, mons. Bergoglio, ora Papa Francesco, spedì a riflettere in Patagonia un parroco che aveva rifiutato il battesimo al figlio di una giovane donna non sposata. Qui ci sono i più ameni Sibillini, dove non mancano chiesette che, anche se terremotate, offrono suggestivi spazi in cui meditare e riflettere. •

Deploriamo sinceramente il fatto e riproponiamo all’attenzione del prete giustiziere alcuni paragrafi di Amoris Laetitia.
293. I Padri hanno anche considerato la situazione particolare di un matrimonio solo civile o persino di una semplice convivenza in cui, «quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio». Infatti, ai Pastori compete non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche «il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà», per «entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza». Nel discernimento pastorale conviene «identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale».
294. «La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti». In queste situazioni potranno essere valorizzati quei segni che riflettono l’amore di Dio. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale. In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto». Comunque, «tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza».[322] È quello che ha fatto Gesù con la samaritana (cfr Gv 4,1-26): rivolse una parola al suo desiderio di amore vero, per liberarla da tutto ciò che oscurava la sua vita e guidarla alla gioia piena del Vangelo.
296. Il Sinodo si è riferito a diverse situazioni di fragilità o di imperfezione. Al riguardo, desidero qui ricordare ciò che ho voluto prospettare con chiarezza a tutta la Chiesa perché non ci capiti di sbagliare strada: «due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […].
La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero […]. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita!». Pertanto, «sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione».
297. Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”. •

Pancrazio Tulli

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