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Querce campanule anatre lepri

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Monte Serrone sopra Pedaso, luogo d’incanto

Ho scelto la collina sul mare. Ho scelto Monte Serrone, sopra Pedaso. Luogo d’incanto. Macchia mediterranea. Un incendio ne divorò una parte, anni fa.
Salgo con l’auto, rasentando la Chiesolina. Mons. Gennaro Franceschetti l’aveva destinata ad ospitale dei diversamente abili. Fece strutturare l’edificio come meglio non si poteva. Non vide coronato il suo progetto. Morì prima. È chiusa da anni.
Arrivato al pianoro, con alle spalle uno stazzo di pecore, scendo, e continuo a piedi. Due macchine con targa straniera, all’altezza della Contea dei Ciliegi (quella della grande festa Hanami), mi sorpassano. Olandesi.
L’osservatorio astronomico sembra una costruzione araba. Un cubo sormontato da una cupola. Da lì, a notte, con il potente cannocchiale, si gode il grande spettacolo del cielo. L’ultimo appuntamento degli Astrofili pedasini è stato domenica scorsa per «… uscir a riveder le stelle». Le stelle: la luce che nel racconto biblico, come spiega l’astro-fisico Marco Bersanelli, «è il primo elemento ad essere creato, nel primo giorno, ancor prima che vengano chiamate all’esistenza le sorgenti capaci di emettere luce: il sole, la luna e le stelle». Una luce iniziale, dunque.
C’è una via di querce su Monte Serrone, come un viottolo sul crinale che rasenta, in alto, l’Adriatico. Mi fugge davanti una lepre, e poi un’altra. Vicino alla recinzione dei ciliegi, un gruppo di anatre piccole: piccole e grigie, sembra voler prendere il volo. Sotto il granturco sono nate migliaia di campanule bianche.
La mente corre ad una pagina dei Luoghi comuni di Umberto Broccoli: «Così, intrecciando parole di follia, mi perdo nell’universo, divento una parte della vasta creazione torno all’età delle nebulose, e mi mescolo all’Inudibile e all’Impalpabile, celato in una pace primordiale, sconosciuto al mondo». I versi sono di Liu Tsung Yüan, «considerato l’inventore della prosa paesaggistica».
Arrivo agli oliveti, mi stendo sotto la loro ombra. Immagino anche quanti agrumeti esistessero nel periodo piceno-romano, e quanti muri a protezione dalla Tramontana fossero stati eretti nei secoli successivi. Qualche traccia la si ha ancora tra Cupra Marittima e Grottammare. E qualche coraggioso ha ripreso a produrre agrumi nostrani.
Un articolo su vanityfair.it/viaggi parla della nostra Terra di Marca e del suo racconto. Se Omero fu il primo narratore, Enea ne fu forse l’interprete maggiore. Il racconto di sé e della sua storia. Glielo chiese la cartaginese Didone accogliendolo profugo. Il figlio di Anchise non avrebbe voluto rimestare un dolore: «Infandum regina iubes renovare dolorem». Alla fine acconsentì.
Guardo il Mare nostrum. Una leggenda narra che le imbarcazioni di Enea attraccarono proprio da queste parti. La gente che vi abitava vide scendere uomini in armi, coperti di bronzo splendente.
Sarebbe stata guerra di conquista? I Troiani volevano campi fertili, che c’erano. Ma anche acque dolci. Per evitarla, la guerra, la Sibilla rese salate le acque di un fiume più a monte: il Salino. Enea riprese il viaggio.
Ridiscendo che il sole picchia. Il faro era torre d’avvistamento. Chissà se abbia lanciato allarmi individuando il corsaro Ricamatore avvicinarsi? •

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