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Incontri con il mio Arcivescovo

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Era il mese di luglio del 2009. A Civitanova Alta impazzava la prima e unica edizione di “Tutto in gioco”, biennale di cultura, politica e società. Mi trovavo in piazza della libertà assieme ad un collega. Era un caldo insopportabile, nonostante fosse il pomeriggio inoltrato. Sandali ai piedi, calzoncini corti, camicetta, questo era il mio abbigliamento. Mi viene incontro l’arcivescovo Luigi Conti, accompagnato da un sacerdote. Non nascondo che ero un po’ imbarazzato perché vestivo veramente in modo del tutto dimesso. Abbozzo un saluto, dicendo che avevo piacere di conoscere da vicino il mio arcivescovo. Mi presento, dicendo il mio nome. Con mia sorpresa vengo a sapere che mi conosceva. Non riuscivo davvero a capire. Non avevo mai avuto occasione di incontrarlo da vicino. L’avevo visto per la prima volta a Fermo, in cattedrale, il 4 giugno del 2006, in occasione del suo ingresso in diocesi, in una chiesa gremita di fedeli. Potenza dei mezzi di comunicazione. Già da allora collaboravo al La Voce delle Marche. Scoprii subito l’arcano. Aveva letto qualche mio articolo. Per questo ero una persona conosciuta.
Dell’arcivescovo avevo seguito, nel febbraio 2008, presso la chiesa di Cristo Re, a Civitanova Marche, dalle ore 21,00, la sua lectio divina tenuta per tutte le parrocchie della vicaria di Civitanova Marche e Potenza Picena. Il primo incontro aveva avuto inizio venerdì 8 febbraio 2008. I passi 4,1-11 del Vangelo di Matteo erano serviti per illustrare che le tentazioni di Gesù sono anche le nostre. “Viviamo in un tempo nel quale siamo abituati a vivere come se Dio non esistesse. La secolarizzazione investe anche la Chiesa. I Media, anche se strumenti buoni in se stessi, ci hanno tolto il silenzio e la preghiera. L’ultima parola, nelle case la dice il programma televisivo, l’intrattenitore di turno. Si assolve il precetto festivo alla Domenica, ma al Lunedì si torna ad essere quelli di sempre: il lavoro e gli affanni del quotidiano hanno il sopravvento”.
Nel secondo incontro di Venerdì 15 Febbraio, le riflessioni erano scaturite dalla lettura del libro della Genesi 12,1-4, circa la risposta di Abramo alla chiamata di Dio ed dal Vangelo di Matteo 17,1-9 sulla Trasfigurazione di Gesù sul monte, presenti Pietro, Giacomo e suo fratello Giovanni. “Abramo è l’icona della fede, con lui ha inizio il cammino della storia della salvezza. L’ascolto della parola di Dio provoca un’uscita dai propri progetti per entrare in quelli di Dio. Così è stato per Abramo, ma anche per Maria, la madre di Gesù. Oggi si fa un abuso dell’ascolto della parola. Tutti invitano ad ascoltarla: il prete, il catechista, il vescovo, il fedele, ma nessuno lo fa seriamente. Il diavolo che sa tutto questo, ci scippa questo dono”.
Nel terzo incontro di Venerdì 22 Febbraio, l’attenzione era stata rivolta al vangelo di Giovanni 4,5- 42, relativo all’episodio dell’incontro di Gesù con la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe nella città chiamata Sicàr. “La samaritana è l’icona della donna di ogni tempo. È una persona ingannata nella sua sete d’amore. Gesù le parla di un dono che non si contratta, per ricevere il quale basta avere solo un cuore puro: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5,1 -2, 5-8). Gesù si presenta come un mendicante, si mette al livello della donna, supera ogni pregiudizio perché le annuncia la salvezza e non la condanna. Dio cerca da sempre l’uomo: Caino, Abele, Abramo. Superati gli idoli falsi e bugiardi del deserto, fatto l’incontro con Gesù sul Tabor, dopo averlo ascoltato, il terzo momento è quello dell’adorazione. Adorare (ad + os, oris = bocca) è stare faccia a faccia con chi amiamo, stare l’uno alla presenza dell’altro. Adorare non è l’obbedienza alla legge, pagare il pedaggio della salvezza. Mosè muore baciato da Dio. Il luogo dell’adorazione non è più il monte Garizìm né Gerusalemme ma il cuore di ognuno: “Non vi turbate, ma adorate Cristo nei vostri cuori, pronti a dare testimonianza della vostra fede” (Lettera di S. Pietro, cap. 3).
Nel quarto e ultimo incontro di venerdì 29 Febbraio, la lettura del Vangelo di Gv. 9,1 – 41 sul cieco nato aveva suggerito al vescovo di porre una domanda fondamentale per il cristiano: “Noi siamo ciechi o ci vediamo? Ritornare al Battesimo, alla piscina di Siloe come il cieco nato, in un mondo sempre più triste, è il compito di ogni cristiano. Il gesto che Gesù compie, restituendogli il dono della vista, è una ri-creazione è un ritorno alle origini. Il cieco riconosce in Gesù un profeta. Subisce l’interrogatorio dei Farisei ma non teme nulla. I suoi genitori invece fanno una figura penosa. Per timore di spiacevoli conseguenze rimandano il proprio figlio dal Sinedrio. Sono un po’ l’immagine di quanti hanno smesso di plasmare i propri figli. Educare non è un’imposizione ma come dice la parola stessa, vuol dire tirar fuori la verità che è in ognuno di noi. Basta praticare la preghiera del cuore per ascoltarla e testimoniarla”.
Altri momenti, per incontrare l’arcivescovo mons. Luigi Conti, sempre qui a Civitanova Marche, li ho avuti ripetutamente in occasione della festa di San Marone con la processione in mare, dopo la messa nella chiesa di Cristo Re. Ricordo che un anno bacchettò non poco un po’ tutti, quando, citando Tertulliano, disse che diventiamo cristiani con il Battesimo ma viviamo tutta una vita senza mai esserlo veramente. Ripetuti poi, sono stati gli incontri presso il cine teatro “Conti” di San Marone, in occasione di eventi, l’ultimo dei quali, l’apertura della “Casa della carità Don Lino Ramini”, sabato 28 maggio 2016, alle ore 11,00, presenti don Vinicio Albanesi, mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, le maestranze della ditta Sardellini, l’architetta Barbara Moschettoni e le autorità civili e militari. In quell’occasione, dopo aver ricordato e lodato tutti i sacerdoti che, in diocesi e a Civitanova Marche in particolar modo, si sono segnalati sul servizio della carità, precisava anche che la nuova “Casa della Carità don Lino Ramini” non è un surrogato dei servizi sociali né una delega da parte della società civile. È un’esperienza forte di Chiesa che esiste da duemila e più anni, fondata non solo sul fare memoria dell’Eucaristia ma anche sulla diaconia, sul servizio verso i fratelli più deboli. Cordiale fu l’incontro che ebbi in arcivescovado con tutta la redazione del La Voce delle Marche. Il nostro arcivescovo voleva conoscere da vicino chi metteva il proprio tempo libero per tentare di fare informazione, pur in mezzo a difficoltà di ogni genere, riconducibili forse all’afasia della parola nella società contemporanea. L’incontro terminò con la Santa Messa celebrata dall’arcivescovo nella cappellina della sede arcivescovile. Cerimonia sobria, intima e toccante, anche perché non avevo mai messo piede in arcivescovado, tranne che una volta, quando era andato a ritirare alcuni documenti per il mio matrimonio. Correva l’anno di grazia 1978. •

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