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A 10 anni dalla morte

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Don Oreste ci ha lasciato anche una sana inquietudine, quella che ricorda tanto spesso papa Francesco. È quel fremito, quella specie di ansia, buona ansia, intendiamoci, che ci fa muovere ogni mattina presto, fin dal primo risveglio, e poi sulle strade del mondo con i piedi ben piantati a terra e lo sguardo rivolto al cielo.

“Per stare in piedi bisogna stare in ginocchio”. Lo ripeteva spesso don Oreste Benzi. Lo ricordava in ogni circostanza. Lo faceva comprendere appena si saliva in auto con lui. “Diciamo un’Ave Maria alla Madonna”, invitava subito, appena indossata la cintura di sicurezza. Confidava nella forza del suo Signore e nella protezione della Madre di Dio. Si fidava e si affidava, totalmente.
Don Benzi, che ricordiamo con immenso affetto e con commozione nel decimo anniversario (2 novembre) della sua morte, ci ha insegnato come stare in piedi, senza timori ma anche senza presunzioni. Lui, che aveva tantissimo da dire, da proporre, da annunciare, da condividere, era il primo che faceva capire come impostava la sua vita.
Se penso all’intensità con la quale ha vissuto mi vengono i brividi. Se vado con la memoria ai tanti momenti trascorsi assieme non posso che avere un cuore grato. Mi sento privilegiato. Non ho dubbi su questo. In numerose occasioni sono stato vicino a un santo. Non mi interessa quando avverrà la proclamazione ufficiale (sono convinto che sarà presto). Sono certo che don Oreste è vissuto come un santo. Era un santo.
Nulla di ciò che possedeva era suo. Lui era tutto del Signore, con quella gioia che solo un incontro ravvicinato, costante e continuo con Dio sa assegnare a chi si consegna a Lui con tutta la propria persona, anima, cuore e mente.
Un mistico-operativo. Un uomo di Dio, nel senso più pieno di ciò che può significare. Don Benzi ha girato il mondo, ma mai per sé. Ha percorso i continenti in ogni dove. Ovunque sia stato, ha portato la Buona Notizia, la più bella che una persona possa ascoltare. Era talmente felice di quanto conosciuto da diventare contagioso. E chi gli è vissuto accanto, ma anche solo chi gli è stato appresso in alcune occasioni, ha potuto sperimentare questo suo modo di vivere, di essere, di credere e di incarnare sul serio il centuplo quaggiù.
In don Benzi, senza alcuna proprietà personale, si avvertiva un’immensa ricchezza. Un patrimonio illimitato che gli avremmo voluto sottrarre almeno in parte, vista la lietezza della sua esistenza. Quindi povero e facoltoso al tempo stesso. Umile, ma sicuro della strada intrapresa. Sempre alla ricerca del volto di Cristo in chi incontrava lungo la sua strada. Non importava il ceto sociale, la condizione economica, la nazionalità, il credo professato. Nel volto di ogni uomo, donna, bambino, vecchio, disabile, zingaro, prostituta, tossico, barbone, nero, bianco o giallo è impresso il volto di Gesù. Lo aveva chiarissimo don Benzi, non per un senso del dovere che gli veniva dalla sua vocazione al sacerdozio, ma per una presa di coscienza così coinvolgente da diventare l’unica ragione di vita.
Dicevo dell’intensità delle sue giornate. Pochissime ore concesse al riposo. I suoi 82 anni sono quasi come 150 di una persona normale. Non poteva permettersi di sciupare tempo. Era talmente impregnato e innamorato di Dio da non poter sprecare risorse personali concedendole al sonno.
Quello che ho avuto, lo devo rendere moltiplicato, era il suo messaggio chiarissimo, trasmesso con il suo incessante agire quotidiano, con il suo perpetuo impegno in prima linea, con la sua costante preghiera, con l’assiduità ai sacramenti, con la quotidiana lettura e meditazione della Parola di Dio.
Attaccato a ciò che vale sul serio, come i tralci alla vite, don Oreste ha saputo portare frutti incommensurabili nella vigna del Signore. Oggi lo ricordiamo come un testimone del nostro tempo a cui riferirci. Uno che ci ha preceduto e ha tracciato una via ben chiara. L’incontro simpatico con Gesù non è una bella favola da raccontare agli adolescenti come lui faceva con i suoi prejù, ma l’avvenimento più grande che può capitare.
Don Oreste ci ha lasciato anche una sana inquietudine, quella che ricorda tanto spesso papa Francesco. È quel fremito, quella specie di ansia, buona ansia, intendiamoci, che ci fa muovere ogni mattina presto, fin dal primo risveglio, e poi sulle strade del mondo con i piedi ben piantati a terra e lo sguardo rivolto al cielo.
Don Benzi ci ha reso il Vangelo familiare, attuabile, praticabile.
Un’esperienza di straordinaria pienezza di fronte alla quale non si può non dire a chiunque si incontra: “Dai, vieni, ci stai?”, alla maniera del don che ancora ci guarda e ci sorride. •

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