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La nostra umanità: trasparenza di Dio

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Padre Gabriele Lupi è stato chiamato a Fermo, in seminario, per un aggiornamento diretto ai preti e ai diaconi. Il tema proposto è sulla maturità umana. C’erano molti posti liberi. Un paio di diaconi e una cinquantina di preti. Eppure nell’ultimo documento della Congregazione del Clero, la “Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis”, si riafferma che il “discepolo” (presbitero) è chiamato ad assumere i tratti dell’umanità di Cristo: la mitezza, l’umiltà, una serena capacità relazionale, un tratto accogliente e cordiale, l’attenzione ai bisogni degli altri, la prossimità e la compassione. Un dato imprescindibile della formazione sacerdotale, perciò, nonché un elemento importante per il discernimento vocazionale, riguarda la cura della dimensione umana: aiutare i candidati, con l’ausilio delle scienze umane, a raggiungere un sufficiente grado di maturazione umana, psichica e affettiva. Abbiamo bisogno di Pastori “umani”, cioè di persone affettivamente stabili, interiormente autentiche e libere, serene dal punto di vista psico-affettivo, capaci di vivere relazioni interpersonali pacifiche ed equilibrate (Cfr Ratio, 39-40). Anche nel documento Optatam Totius del Vaticano II, viene fornito un elenco di tali “tratti” che rendono l’umanità del prete più vicina alla gente. Esse sono: la sincerità d’animo, il rispetto costante della giustizia, fedeltà alla parola data, gentilezza del tratto; discrezione e amorevolezza nella conversazione, fermezza d’animo, saper prendere decisioni ponderate e retto modo di giudicare persone ed eventi. (OT, 11).
Anche nella Pastores Dabo Vobis di Giovanni Paolo II si fa un elenco delle qualità “umane” del prete che meritano particolare attenzione:
Senso positivo e stabile della propria identità virile; Capacità di relazionarsi in modo maturo con altre persone o gruppi di persone,
Solido senso di appartenenza al presbiterio. (PdV 17)
Nel documento della congregazione per l’Educazione Cattolica, “Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e della formazione dei candidati al sacerdozio” (Roma 2008), si precisano altre cose molto interessanti: La libertà di entusiasmarsi per grandi ideali; Coerenza nel realizzarli nell’azione di ogni giorno; Coraggio di prendere decisioni e di restarvi fedeli; Conoscenza di sé, delle proprie doti e limiti integrandoli in una visione positiva di sé di fronte a Dio; Capacità di correggersi; Fiducia che nasce dalla ‘stima per l’altro’ e che porta all’accoglienza; Capacità di integrare secondo una visione cristiana la propria sessualità. Tali liste offrono materia di attenta riflessione. “Quello che mi sembra importante mettere in luce, – ha detto Padre Lupi – è il fatto che i documenti della Chiesa, pur indicando “tratti” qualificanti di una personalità matura a livello umano, tale maturità non può essere ridotta alla “somma” di alcune virtù o doti… Rimane sempre valido il principio di San Francesco il quale diceva che se uno possiede una virtù, le possiede tutte, se ne offende una le offende tutte”.
La maturità umana del prete deve diventare sempre di più “mediazione quotidiana dei bene salvifici del Regno”.
Tutto il cammino di formazione, sia quello iniziale ma ancor di più quello permanente, dovrebbe rendere l’umanità del prete trasparente, mediazione che non frappone ostacolo, e che consenta il più possibile un passaggio lineare della grazia da Dio all’uomo. È esattamente questa trasparenza che rende la persona del presbitero consistente, consistente con ciò che (o con Chi) deve annunciare. A questa consistenza è connessa l’efficacia del suo ministero, da non confondere con l’efficienza, che invece è legata al possesso di competenze abilità varie per svolgere il ministero. L’umanità del prete è dunque mediazione dei beni salvifici del Regno anche se non l’unica. Nessun prete può dunque pensare che la sua eventuale immaturità o debolezza o contraddizione interiore o inconsistenza… sia qualcosa che riguarda solo lui.
Comunemente si pensa alla formazione umana come ad una serie di “contenuti” da offrire (Inculcare delle virtù). Ma queste virtù non possono essere considerate come una “veste” esterna. Devono arrivare ad essere “cuore”. La formazione umana non può fermarsi solo al “che cosa”, ma deve interessarsi anche del “come”. L’umanità del sacerdote non è solo l’aspetto esteriore, ma il luogo misterioso ove avviene l’incontro altrettanto misterioso con la Grazia di Dio, e ove deve avvenire quella trasformazione in Cristo. È fin troppo chiaro che formazione umana indica una formazione del cuore e della mente, ovvero della capacità affettiva e mentale a livello conscio e inconscio; formazione dei sensi interni ed esterni, dei desideri, della capacità di prendere decisioni e di commuoversi di fronte a ciò che è bello e vero. Tutto questo sembra essere solo chiaro in modo teorico. Facciamo ancora molta fatica – ha continuato Padre Lupi – a tradurre questi aspetti in metodi educativi.

Quali sarebbero allora i tratti qualificanti di una personalità chiamata ad essere “trasparenza di Dio”?
a) Capacità di ascolto. Il primo capitolo del sussidio “Lievito di Fraternità” (LdF) porta il titolo : Costruttore di Comunità. Il presbitero deve essere espressione di una chiesa che ha il volto di “mamma”: cioè che sappia comprendere, accompagnare, accarezzare. Da qui deriva quello che i Vescovi italiani chiamano l’apostolato dell’ascolto. Ciò significa: “perdere tempo” con pazienza e disponibilità, saper donare attenzione, comprensione e ‘cuore’ alla persona; lasciarsi interrogare dalle situazioni in cui vive la gente; saper portare insieme alla gente il peso che loro stanno vivendo; tenere l’orecchio nel cuore di Dio e la mano sul polso del tempo; Accostare le persone con umiltà e gratuità.
b) Strumento della tenerezza di Dio. Il papa parla del presbitero chiamato a legarsi al presbiterio in modo “pastorale” e “sponsale”. Nel senso di un legame “incarnato”, con quella realtà che si ha davanti, fatta di quei volti ben precisi. Se non si arriva a questo legame, si finisce per amare la chiesa in modo generico e sciatto, accontentandosi del minimo. Il sacerdote deve essere mosso da: attenzione per ciascuna pecora del gregge; vigilanza perché nessuna si smarrisca; disponibilità ad accompagnare il cammino delle pecore più deboli; passione forte per quante si sono perdute.
c) Capacità di mettersi in discussione. La nostra carità pastorale è insidiata dalla “mediocrità” quando non si ha il coraggio di mettersi in discussione, di affrontare ogni giorno le proprie debolezze e lasciarsi correggere dalla Parola di Dio, da quella dei confratelli e da quella del proprio popolo. Si tengono, allora, per sé, come fossero private, certe zone della vita nelle quali non si accetta che alcuno entri, nemmeno lo Spirito Santo.
d) Capacità di sostenere la solitudine. Una reale comunione con i confratelli è sicuro antidoto alla solitudine. Altro antidoto alla “solitudine è la capacità di lasciarsi aiutare.
e) Coraggio di “rinuncia”
C’è un pericolo molto insidioso: il carierismo, “che conduce a distinguere tra ministeri ritenuti prestigiosi e altri poco ambiti perché ritenuti di scarso rilievo. Quindi non si serve la Chiesa ma ci si serve della Chiesa per la propria visibilità e ricerca di interesse personale. Si vive il ministero per essere ‘notati’ da qualcuno” (p. 25)

Infine Padre Lupi ha parlato di capacità di passione. È l’atteggiamento che accetta le sfide più grandi di se stessi, come pescare durante il giorno, camminare sulle acque, alle quali si reagisce con paura.
Papa Francesco nell’incontro con i Vescovi dell’America Latina ha chiesto “passione”.
Tra le controindicazioni vocazionali per un candidato al presbiterato, il Papa pone anche quella di una “carente passione apostolica”. (LdF p. 64)
Occorre allora capacità di passione come verifica della propria umanità. Si possono enumerare passioni diverse: la passione a “prima vista” (corrisponde in genere ai primi anni di ministero); la passione “consapevole” (la crisi di mezza età); la passione “scelta” (la maturità).
Padre Gabriele ha concluso la sua riflessione con le domande che il Papa ha posto ai Vescovi nel suo discorso alla Cei: Che cosa rende saporita la mia vita di presbitero? Per chi e per che cosa sto impegnando il mio servizio? Qual è la ragione ultima del mio donarmi?

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