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Ridurre la velocità per vivere meglio

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Importanza della lentezza: se siamo troppo veloci il cervello non funziona bene

Vogliamo smettere di correre, innanzitutto quando è completamente inutile? Vogliamo riprenderci il nostro tempo, a partire dalla riscoperta della lentezza quando è necessaria a fare funzionare bene il cervello, senza sprecare energie, e non solo? Viviamo in un’epoca in cui tutto scorre velocemente, un continuo rincorrere il tempo fino a diventarne schiavi. Chi può consentirsi il lusso della lentezza in un mondo dove tutti sembriamo costretti a correre? Nessuno, o quasi nessuno. Eppure il cervello che regola i nostri comportamenti ci è stato donato proprio come una macchina lenta, che ha bisogno dei suoi tempi e di una sequenza nella sua azione. Noi invece facciamo il contrario, e viviamo nell’incubo della lentezza che associamo alla perdita di tempo o, peggio, a una menomazione fisica e mentale. Il consiglio più sincero che posso darvi, per il bene di voi stessi, della vostra famiglia e di chi vi sta intorno? Ridurre la velocità. Non solo quella dell’automobile quando proviamo pericolosamente a sfrecciare nel traffico, ma in generale il ritmo frenetico di vite troppo ossessionate dalla paura di sprecare tempo. Ridurre la velocità, per riscoprire il piacere e la funzione della lentezza, che non va confusa con l’incertezza, ma semmai con uno sforzo per capire meglio le cose prima di prendere una decisione.
In un denso libricino (Elogio della lentezza, edizioni Il Mulino), il professore Lamberto Maffei, presidente dell’Accademia dei Lincei ed ex direttore dell’Istituto di Neuroscienza del Cnr, prova a richiamarci all’ordine. Ci guida nell’esplorazione dei meccanismi cerebrali che inducono all’eccessiva velocità e ci rappresenta, con una certa dose di nostalgico pessimismo, i vantaggi del pensiero lento, di un pensiero che assecondi i tempi naturali della macchina, il cervello appunto. «Il desiderio di emulare le macchine rapide create da noi stessi, a differenza del cervello che invece è una macchina lenta, diventa fonte di angoscia e di frustrazione» scrive Maffei. E aggiunge: «La netta prevalenza del pensiero rapido, a partire da quello che esprimiamo attraverso l’uso degli strumenti digitali, può comportare soluzioni sbagliate, danni all’educazione e perfino al vivere civile». Immaginate una corsa di mezzofondisti. All’improvviso tutti accelerano all’impazzata, come se potessero immediatamente tagliare il traguardo, e uno solo resta indietro, isolato nel suo sgomento: quelli che corrono senza freni siamo noi, con la nostra velocità fuori dalla portata del nostro organismo umano; chi finisce in fondo è il cervello, che continua a funzionare con i suoi tempi. Dunque la riscoperta delle lentezza, seguendo il ragionamento di Maffei, potrebbe essere una buona terapia contro gli effetti dello stress digitale, dove tutto viene comunicato in tempi record attraverso e-mail, sms, tweet. È come se una macchina naturale, il cervello, riuscisse a fare da argine alle macchine artificiali, quelle che gonfiano la potenza del web. E considerando che soltanto nell’ultimo anno, per stare dietro al pressante uso di questi strumenti, abbiamo perso un’ora di sonno, forse è utile ricordarci che l’uomo non è programmato per essere troppo veloce. Anzi. Se il corpo, come raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha bisogno di almeno 5mila passi, lenti, al giorno, la mente rischia il buio nel sovrapporsi di decisioni troppo rapide e noi rischiamo di fare le scelte sbagliate. Ricordate il vecchio proverbio popolare? Respira, prima di parlare. E nell’attimo del respiro c’è il riconoscimento del valore della lentezza che, allo stesso tempo, riesce a farci ascoltare le ragioni degli altri prima di esporre le nostre. Solo questo ritmo, non sottoposto alla pressione di continui strappi, porta al vero dialogo ed a una vera ricerca di reciproca conoscenza.
La lentezza espressa attraverso l’uso fisiologico di una macchina lenta, il cervello, sviluppa la creatività. Si potrebbe sfogliare a lungo l’interminabile album di geni del pensiero, dagli scienziati ai letterati, immersi, anche con la loro apparente, precaria fisicità, nel vigore propulsivo del pensiero lento. Lo scrittore Luis Sepùlveda, autore di una straordinaria favola intitolata Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, arriva perfino ad attribuire alla lentezza il valore di un comportamento di rottura, di un gesto rivoluzionario.
«È una nuova forma di resistenza, in un mondo dove tutto è troppo veloce. E dove il potere più grande è quello di decidere che cosa fare del proprio tempo» dice Sepùlveda. •
Antonio Galdo

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