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Odori e sapori della Pasqua

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Nell’Alto Nera la primavera si coniuga con la resurrezione

La Pasqua sotto forma di festa di resurrezione, d’un rito di primavera, d’un raggiante ballo di fiori e di sole può anche darci fremiti, può entusiasmarci, può tradursi in poesia che ammalia, in momento in cui la natura si risveglia dentro e fuori di noi, ci fa uscire dal gelido inverno e colora di verde le nostre giornate.
Ecco perché i cibi di Pasqua suggeriscono il profumo di vegetazione in fiore. E di vita che torna a pulsare nelle vene del mondo. Evocano l’immagine lirica del Manzoni “Sacerdote in bianca stola,/ esci ai grandi ministeri,/ fra la luce dei doppieri/ il Risorto ad annunziar” che il sacerdote Giovanni Vagnarelli di Ussita, già Cappellano militare, fece stampare su un bellissimo biglietto d’auguri che inviò agli amici più cari, con le parole che sono il titolo di questo servizio. Quei vocaboli sono capaci di inventare e di raccontare molti mondi, sono una fabbrica di pensieri che ci accompagnano durante le festività della Pasqua, di speranze che alimentano la nostra energia vitale, di spiegazioni indispensabili a capire la festa che ci apprestiamo a celebrare. Il cibo prima di tutto. Uova, grano, germogli, agnelli, capretti. Un menù che è tutto un simbolo. A cominciare dall’uovo che è onnipresente nelle leccornie pasquali di tutto il mondo perché simbolo universale di nascita e di rinascita, di rigenerazione e di vita eterna.
Se nel medioevo si raffigurava Cristo che esce dal sepolcro come un pulcino che viene fuori dal guscio. Se tra l’uovo cosmico e quello di cioccolato c’è un rapporto che trasforma pranzi e scampagnate in abbuffate rituali nel giorno di Pasquetta. Se le colombe, le pizze dolci e le torte al formaggio della regione umbra sono un impasto benedetto che vestono a festa il pranzo degli umili e rallegrano il rito mangereccio a Caspriano e a Macereto, allora sì, la Pasqua ha anche una liturgia proteica che mette fine a quella austerità della Quaresima che un tempo vietava il consumo di uova e di salumi. C’è del significato anche nelle primizie che fanno corona al grano, l’emblema del dio che si è fatto pane e, come ci insegnava il professor Amici, contagia anche l’equinozio di primavera, quando gli antichi popoli del Mediterraneo festeggiavano la morte e la resurrezione di un dio della vegetazione nato da una vergine, proprio come Gesù. C’è di colpo il ciclo stagionale del grano che le donne facevano crescere in vasi tenuti al buio e posti sulla tomba di quel dio ucciso e macinato in un mulino, che è quel che facciamo ancora oggi nei sepolcri il giovedì santo.
C’è il loro pianto durante i giorni del rito, quella mescolanza di paganesimo e cristianesimo che ci incantò da bambini, la passione del grano come quella di Cristo, il rito di resurrezione come un’antichissima sagra di primavera. Gli anni della nostra vita sono cosparsi di contenuti e di sapori che a volte vengono ritrovati e trasformati in nostalgia o oggetti del desiderio, come la pizza pasquale che fa rivivere i capolavori dolciari delle nostre donne, plasmati da invenzioni secolari: uova battute che si sposano ai limoni, agli aranci grattugiati e ai liquori , burro e olio che insieme corteggiano la farina, in una miscela su cui chi ha le mani in pasta (è la parrola) pone il timbro della tradizione. Con un solo obiettivo: fare la pizza più buona dell’alto Nera e codificare i sapori antichi in una ricetta amata, consumata e interpretata nell’impasto a mano che diventa pizza morbida e saporita per conquistarci definitivamente abbinata al salame. Oltre al sapore vi troviamo la sensazione di tornare giovani e di tuffarci nel sottosuolo della Pasqua con il rito della benedizione delle case, con fiaccole e croci ardenti, storie indelebili tra l’infanzia e la croce, pietas minimale fatta di diafane piantine di grano a rappresentare i capelli di Gesù mossi dal vento della storia. Una pietas che non teme di collocare cibi, feste, riti e tradizioni lungo un confine dove convivono le campane “legate”, i suoni gracchianti delle raganelle di legno, i giochi della “coccetta” e, invisibilmente, il religioso e il pagano, il presente e l’antico, il superstizioso e il divino. E quando le campane suoneranno resurrexit sapremo che la Pasqua è di tutti ed è lo spirito di tutti che deve risorgere. •

Valerio Franconi

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