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Il mistero del Rosario

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Maggio: il mese mariano non è solo una tradizione

Rosario! Parola meravigliosa, eppure – come dire? – un po’… emarginante?… poco intelligente?… devozionale, ma di basso rango?… bigotta?… dolciastra? … tabù?… Troppo poco, insomma, per gli intelligenti del terzo millennio rivolgersi, pregando, a una ragazzina/madre che non contava niente, di cui nessuno si interessava, la più umile delle creature… e chi più ne ha più ne metta.
Eppure l’attuale mondo non è che sia poi tanto più intelligente, se spende circa milleottocento miliardi di dollari in armamenti, una cifra che non saprei neppure come possa trasformarsi in miliardi di vecchie lire (un milione e ottocentomila miliardi?): una somma folle e angosciante. Gli USA – nazione che ambisce ad essere leader mondiale in tutto, anche sul versante “morale” – contribuiscono per qualcosa come cinquecento – seicento miliardi, mentre la Russia, considerata così pericolosa, si accontenta di settanta. Mah!
Un mondo tenuto saldamente in mano dal diavolo, che domina le relazioni internazionali, la politica, l’economia, la cultura, la scienza, la società, il potere. Tutto, insomma.
Un mondo dominato dalla libidine della supremazia, del possesso, del desiderio, della concupiscenza dei diritti senza doveri; della lupa, del leone, della lonza del primo canto dell’Inferno. Un mondo tendenzialmente affascinato dalla realizzazione di ogni fallimento perfettamente riuscito.
Ecco allora che il rosario è davvero un’arma, la più temuta, come dicono, dallo stesso diavolo, del quale tutto si può dire meno che sia stupido.
E certo, perché il rosario ci pone di fronte all’accettazione di nostri limiti (prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte, ripetuto decine di volte), di fronte alla grandezza di Dio (sia santificato il tuo nome, come in cielo così in terra; gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo), di fronte alla necessità di chiedere umilmente ciò di cui abbiamo vero e genuino bisogno (venga il tuo regno, dàcci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci abbandonare nella tentazione, liberaci dal male).
Ed ora la domanda che sempre mi pongono, anche con aria di sfida (benevola e pacifica, ovviamente): ma Dante?
V’è nella Commedia, rispondo, un progetto mariano articolato e coerente che si fa anzitutto poetica e ripetuta lode della sua divina maternità, la quale è poi una maternità umanissima e condivisa con tutte quelle madri che in lei si riconoscono (o con tutte le madri tout court). Sarebbe bello – si continua – se l’innocenza di coloro che vengono alla luce rimanesse integra nella vita. Così non è, e si va in esilio; così non è, e si va alla morte. Ed ecco allora che la donna refugium peccatorum e la regina degli esuli si fa incontro a Dante e a tutti coloro che aprono il loro cuore, e non nei termini di un’interazione devozionale, ma nel dramma concreto del vivere e del sentirsi abbandonati: da se stessi anzitutto, prima che eventualmente da Dio – ammesso che per Lui ciò sia possibile.
Perciò, insieme al poeta e agli spiriti riabilitandi, ella “sale”, di balza in balza, la montagna del Purgatorio, dimostrando, con le sue esemplarità di creatura prima e senza peccato, come si possano vivere le beatitudini evangeliche e promuovere con esse il risanamento della mente, del cuore, della volontà, della libertà, della persona, fino alla sua restitutio ad integrum paradisiaca. I fatti della sua vita si associano alle sofferte meditazioni dei penitenti, collegati in un’ideale corona di invocazioni. Beatitudine di angeli, santi, forse della stessa Trinità, Maria regna e risplende nella terza cantica dantesca in tripudi di mariofanie teologiche e mistiche, ed è lei la chiave che apre lo scrigno degli arcana Dei tenuti nascosti fin dalla creazione del mondo.
Ma c’è anche il Rosario? C’è. Non proposto organicamente; ma questa grande preghiera che si andava strutturando per opera soprattutto dei domenicani e dei cistercensi, appone il suo sigillo in vari punti del poema.
C’è il Padre Nostro (canto XI del Purgatorio), c’è il Gloria del canto XXVII del Paradiso, la preghiera per i defunti citata in più canti del Purgatorio; si ascolta la Salve Regina nel VII della medesima cantica. C’è l’Ave Maria riportata a più riprese (canto X del Purgatorio, canto II e XXXII del Paradiso).
E del rosario sono celebrati, nella Divina Commedia, i misteri: l’Annunciazione, la visita a Santa Elisabetta, la Natività, lo smarrimento e il ritrovamento di Gesù fra i dottori del tempio (misteri gaudiosi), le nozze di Cana e l’istituzione dell’Eucaristia (tra quelli che oggi sono i misteri luminosi). C’è il dramma della Passione. Si narra della resurrezione di Cristo, della sua ascensione al cielo, della discesa dello Spirito Santo, dell’Assunzione di Maria al cielo, della regalità della Vergine sul Paradiso.
Dante è un grande devoto di Maria, definita il “bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera” (Par., XXIII, 88-89). Un bigotto? È un po’ difficiluccio considerare Dante un bigotto di scarsa intelligenza. Potremmo anche considerare bigotto il Papa (lo dico per paradosso), ma a uno dei più grandi geni dell’umanità e al più grande poeta della storia, suvvia non è facile attribuire un epiteto simile che richiama l’idea del sempliciotto – anche se la sua fede era anche semplice come quella di una femminetta.
Maria è la sua guida fin dall’inizio del suo itinerario verso Dio, ed alla fine è lei che di Dio e dei suoi misteri gli consente la “visione”, concludendo il cammino del pellegrino della terra e del cielo. È il tratto più difficile. Ma devoto di Maria, teologo di Maria, esegeta di Maria, mistico contemplativo di Maria, il poeta può compierlo, seguendo, di Maria, lo sguardo verso l’Altissimo: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, // tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura. // Nel ventre tuo si raccese l’amore, / per lo cui caldo ne l’etterna pace / così è germinato questo fiore.”
E io, come vedo Maria (MYRIAM)? La vedo pellegrina nel deserto del mondo, in attesa del ritorno del figlio (l’umanità), con qualche lacrima che le bagna le ciglia, ma con la certezza incrollabile di una nuova aurora: “T’ho vista sulla piana desolata / attendere e sognare il nuovo figlio, / ti vedo tra la sabbia consumata / piantar la croce ed aspettare il giglio. // Anni non hai né rughe sulla fronte, / solo sugli occhi perle di rugiada, / di segrete provviste scorte pronte / per lunghe soste al bordo della strada. // Guardi la notte il volger delle stelle, / numerate e indicate senza posa, / e scrivi e annoti e scrivi le novelle / degli astri in punta e in penna dolorosa. // E quando l’orizzonte si colora, / la tua certezza è che fiorirà ancora.” •

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