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L’esperienza della liberazione

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Il cristianesimo non è una serie di “doveri”: comincia dalla gratitudine e si esprime tramite “un grido di aiuto” che è l’inizio dell’esperienza di liberazione. Lo ha spiegato il Papa, nella terza catechesi dedicata ai Comandamenti, pronunciata di fronte a 12mila persone e svoltasi – come mercoledì scorso – in due tempi: in Aula Paolo VI per salutare i malati e i disabili, tra cui un centinaio di atleti di Special Olympics, e in piazza, in cui erano presenti tra gli altri anche una trentina di fedeli cinesi, provenienti da Hong Kong.
“Si arriva al Monte Sinai dopo aver attraversato il Mar Rosso: il Dio di Israele prima salva, poi chiede fiducia”, dice Francesco per spiegare che il Decalogo comincia dalla generosità di Dio.
“Dio mai chiede senza dare prima, mai! Prima salva, prima dà, poi chiede: Così è il nostro Padre”, aggiunge a proposito dell’importanza della prima dichiarazione contenuta nell’Esodo: “Io sono il Signore, tuo Dio”. “C’è un possessivo, c’è una relazione, ci si appartiene. Dio non è un estraneo: è il tuo Dio. Questo illumina tutto il Decalogo e svela anche il segreto dell’agire cristiano, perché è lo stesso atteggiamento di Gesù che dice: ‘Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi’”. Gesù non parte da sé, ma dal Padre: spesso, invece, “le nostre opere falliscono perché partiamo da noi stessi e non dalla gratitudine. E chi parte da sé stesso arriva a se stesso”.
“Porre la legge prima della relazione non aiuta il cammino di fede”, perché “la vita cristiana è anzitutto la risposta grata a un Padre generoso”, e non ad una serie di “doveri”. “Come può un giovane desiderare di essere cristiano, se partiamo da obblighi, impegni, coerenze e non dalla liberazione?”, si chiede Francesco, secondo il quale “essere cristiano è un cammino di liberazione”. “I comandamenti liberano dal proprio egoismo, liberano perché c’è l’amore di Dio che porta avanti. La formazione cristiana non è basata sulla forza di volontà, ma sull’accoglienza della salvezza, sul lasciarsi amare”. Prima il Mar Rosso, poi il Monte Sinai.
“Quante cose belle ha fatto Dio per me?”. È la domanda che il Papa propone come esercizio ai 12mila presenti in piazza San Pietro, a ognuno dei quali chiede di rispondere “in silenzio”. “Dio fa tante cose belle e ci libera”, per questo la gratitudine è un tratto caratteristico del cristiano.
“Noi non ci salviamo da soli, ma da noi può partire un grido di aiuto: ‘Signore, salvami: Signore, insegnami la strada; Signore, carezzami; Signore, dammi un po’ di gioia’”. Il Papa conclude l’udienza con una preghiera: “Questo è un grido che chiede aiuto. Questo spetta a noi: chiedere di essere liberati, dall’egoismo, dal peccato, dalle catene della schiavitù. Questo grido è importante, è preghiera, è coscienza di quello che c’è ancora di oppresso e non liberato in noi. Ci sono tante cose non liberate nella nostra anima: ‘Salvami, aiutami, liberami’, questa è una bella preghiera al Signore”. “Dio pensa a me”, il commento di Francesco: “Dio attende quel grido, perché può e vuole spezzare le nostre catene. Dio non ci ha chiamati alla vita per rimanere oppressi, ma per essere liberi e vivere nella gratitudine, obbedendo con gioia a Colui che ci ha dato tanto, infinitamente più di quanto mai potremo dare a lui. È bello questo! Che Dio sia sempre benedetto, per tutto quello che ha fatto, fa e farà in noi”. •

M.Michela Nicolais

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