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Chiamati alla responsabilità

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Ex allievi salesiani in Servizio Permanente Effettivo

Il profeta Giona, Giuseppe venduto dai fratelli, il seminatore della parabola evangelica sono le tre icone suggerite ai Salesiani Cooperatori da don Enrico Peretti, sacerdote salesiano, presidente del Centro Nazionale per le Opere Salesiane (CNOS) e coordinatore della Federazione Nazionale per la Formazione Professionale (FAP). Domenica 11 novembre cento dieci Salesiani Cooperatori, provenienti dalle opere salesiane di Marche, Umbria e Abruzzo, si sono dati appuntamento presso l’Opera Salesiana di Ancona, per partecipare all’annuale Giornata del Salesiano Cooperatore.
Il profeta Giona, figlio di Amittai, non ascolta la parola del Signore. Si mette in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scende a Giaffa, dove trova una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarca alla volta della meta. Non c’è dato di sapere perché Giona fugge. Ci interessa perché ritorna. Difatti, in mare, mentre sta sulla nave, fa un’esperienza decisiva che lo induce a ritornare sui suoi passi. A seguito di una forte tempesta, la nave sta per affondare. Giona non si accorge della tempesta e dorme, poi dice ai marinai: “Prendetemi e gettatemi in mare, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia”. Chiede di essere gettato in mare, si salva grazie alla balena e ritorna al suo compito. Giona sente che esiste un misterioso ma reale rapporto tra la sua fuga e il dolore della nuova gente che gli sta intorno. Capisce che è lui la spiegazione del dolore degli altri: “Io so”. Forse anche a noi è capitato di dormire sulla nave sbagliata, ma un giorno qualcuno o qualcosa ci sveglia e al risveglio avvertiamo con una certezza interiore che se noi non fossimo saliti su quella nave sbagliata, quel dolore, quel male di vivere avvertito in noi e attorno a noi non ci sarebbero stati. Qualche volta si riesce a ritornare. Altre volte invece non si torna, perché è troppo tardi o perché ci lasciamo gettare in mare e la “balena” non arriva a salvarci. Ogni tanto, come Giona, dopo quel ritorno avvengono autentici miracoli. Le nostre parole convertono e salvano intere città ma noi non lo sapevamo. Eravamo tornati solo per salvare quella nave che stava affondando per la nostra fuga. La conversione è un tornare indietro.
“Io sono Giuseppe! È ancora vivo mio padre? Sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste per l’Egitto” (Gn 45, 3- 5). “Allora si gettò al collo di Beniamino, suo fratello, e pianse. Anche Beniamino piangeva sul suo collo. Poi baciò tutti i suoi fratelli, e pianse su di loro; dopo di che i suoi fratelli si misero a parlare con lui” (Gn 45, 14- 15). “Non siete stati voi ad avermi mandato qua, ma Dio” (Gn 45, 5- 8). Quella di Giuseppe, venduto per invidia dai suoi fratelli ai mercanti d’Egitto, è tra le storie bibliche più belle e popolari. Giuseppe è un sognatore e un narratore di sogni. In terra straniera, proprio grazie alla sua vocazione e competenza in materia di sogni, riesce a diventare un’importante personalità politica. Quando i fratelli, anni dopo, durante una grande carestia, si recano in Egitto in cerca di grano e di vita, lì trovano Giuseppe, il fratello venduto, che li salverà. Non è raro che siano i sogni più grandi, quelli eccedenti le mura di casa, a farci uscire, a creare incomprensioni, talvolta a farci espellere. Come per Giuseppe, non si capisce il senso di tanto dolore, il perché di tanta cattiveria, finché un giorno se ne scopre il senso. Si esce per salvare noi stessi, e infine scopriamo che quell’uscita è stata provvidenziale per noi e anche per coloro che ci avevano costretto a uscire. Sono questi esiti paradossali che rendono la vita umana qualcosa di poco “inferiore agli angeli”. Il senso vero dello spartito che stiamo suonando, lo capiamo solo nell’ultima nota. “A suo tempo tutto capirai”. Era il sogno fatto da don Bosco. Lo capì in una delle sue ultime celebrazioni liturgiche, fermandosi e piangendo ripetutamente nel corso della messa. Forse anche a noi capita di finire dentro quella “cisterna”, come per Giuseppe, per seguire onestamente una voce, e se continuiamo a seguirla nella comunità invisibile del nostro cuore anche in terra straniera, di solito arriva il momento della salvezza, e la pietra scartata diventa testata d’angolo dell’intera casa.
“Un giorno, il seminatore uscì per seminare” (Mt 13, 1- 9). È una delle parabole più belle del Vangelo. Un quadro di Vincent Van Gogh illustra più di tante parole il significato profondo della parabola. La parte alta del dipinto ha il sole al centro, quella bassa il terreno arato. Tra le due parti, una siepe di grano maturo, in mezzo c’è il seminatore. Tra cielo e terra c’è uno scambio di colore. Il seminatore con la mano sinistra tiene sul cuore il sacco del seme che ha lo stesso colore del cielo. Lo sguardo è fiducioso e deciso, il passo forte e proteso in avanti. Il seminatore procede a testa alta, incrollabile. Egli non è al centro del quadro che è occupato dal sole quasi accecante. L’andamento delle pennellate simula i raggi. Anche il campo ha uno sviluppo tondeggiante, come se dall’astro si spigionasse una forza benefica, vivificante, che coinvolge tutto. Siamo invitati a fare nostro lo stile di Dio e far risuonare nei gesti e nelle parole, la grazia, la delicatezza e la bellezza della sua gestualità larga, generosa e gratuita. La vera realtà va ben oltre i dati sensoriali. Anche Montale, con la sua mentalità laica, aiuta a scoprire questo insondabile mistero che avvolge la nostra esistenza, quando afferma che la realtà non è quella che si vede: “… E ora che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l’ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo” (Prima del viaggio, in Satura).
Diventare quello che si è, essere una benedizione per gli altri, tornare ad essere seminatori di speranza, accoglienza, paternità, maternità, salvezza per i giovani. Questa è la rotta per fare della propria vita una missione. Non basta amare i giovani. Occorre che sentano anche di essere amati. Era l’invito che don Bosco rivolgeva ai suoi salesiani. È valido sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. I Salesiani Cooperatori sono ritornati nelle proprie sedi di origine con più olio nelle proprie lampade. I momenti di riflessioni servono sempre per riprendere il viaggio della vita, confortati anche dalla presenza di alcuni giovani che fanno parte del Movimento Giovanile Salesiano. Si sono incontrati sabato 10 novembre presso la stessa casa salesiana di Ancona. Si sono fermati domenica undici novembre e hanno raccontato ai Salesiani Cooperatori la propria esperienza “Walk and Work”, vissuta assieme ad altri giovani di tutta Italia in occasione del Sinodo dei giovani. Ricerca, fare casa, credibilità e legami sono state le parole guida che hanno comunicato e che sono entrate a far parte del loro bagaglio di vita. Non tutto è stato fatto. C’è ancora molto da fare.

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