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Fedeltà, voce del verbo amare

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Un nonno che insegna a vivere ciò che si ha nel cuore

Quando mi raccontano di mio nonno, spesso mi dicono: “era un uomo di parola”. Io non l’ho conosciuto per cui, a questa affermazione di principio, cerco di associare il racconto della sua vita, i fatti, le scelte, le parole. I due valori che mi sembra facciano sintesi della sua esistenza sono fedeltà e giustizia.
Mi sono chiesta nel tempo a che cos’era fedele mio nonno e quale giustizia praticava? Ho ripensato ai tanti brani biblici letti, dove ho trovato spesso la parola fedeltà. Di Dio si dice che era un Dio fedele, di Gesù si dice fedele al Padre, ma di entrambi si dice fedeli all’amore. Oggi la fedeltà sembra tramontata, una parola pesante che toglie libertà, che incatena nel tempo, che stringe sulla possibilità di cambiare idea, di fare nuove esperienze.
La fedeltà in questa ottica sembra avere un valore in se stessa; invece la fedeltà è sempre a “partire da”… qualcuno o qualcosa. Mio nonno era un uomo “fedele”, non perché non cambiasse mai idea, semplicemente perché era profondamente coinvolto con le persone e con le scelte che faceva. Mio nonno era fedele a mia nonna perché ne era innamorato; era fedele al principio dell’onestà perché amava la giustizia; era fedele alla carità perché rispettava le persone e la loro dignità; era fedele alla sua religione perché ne traeva la gioia di vivere.
Mio nonno era sostanzialmente un uomo fedele a se stesso, ma non di una fedeltà sterile che gli imponeva di stare con le stesse persone, di fare le stesse cose, di non cambiare strada, ma una fedeltà semplice che traeva origine dall’amore.
Tanto più noi amiamo, quanto più riusciamo ad essere coerenti alle scelte fatte, alle persone scelte, al principio universale di giustizia. Mio nonno era un uomo retto, non perché non sbagliasse mai, semplicemente perché amava la giustizia e praticarla lo faceva stare bene. In questo nostro tempo, che accusiamo di tante infedeltà, è importante che ci diciamo che si può essere fedeli a qualcuno solo se si è uniti a quel qualcuno; si può essere fedeli a qualcosa solo se se ne riconosce l’importanza. Quando non riusciamo ad essere fedeli è perché non riconosciamo il valore dell’altro, la sua connessione alla nostra stessa vita, al senso del nostro esistere.
Parlando poi di fedeltà a noi stessi, che è l’origine della fedeltà, possiamo dire di esserlo, non tanto perché siamo capaci di mantenere la rotta scelta, questo a volte può essere solo formalità, pura apparenza, ma perché sappiamo costruire la nostra storia dentro incontri vivi, spendendo ogni risorsa per incontrare l’altro e, da credenti, per lasciarci trovare e coinvolgere in Dio. La Scrittura ci parla di “immagine e somiglianza” dell’uomo con Dio. Se non avessimo una immagine e somiglianza di Dio scolpita nel cuore e nell’anima, non potremmo cercare di essere fedeli a questa immagine. Come cristiani, possiamo essere fedeli a noi stessi solo in questo senso: coerenti con il dono ricevuto che fonda la nostra stessa dignità di persona.
Mio nonno era un uomo fedele e giusto non perché si impegnava o sforzava di esserlo, ma semplicemente perché esprimeva nella sua vita la coerenza a questa immagine e somiglianza di Dio, che è un Dio fedele.
Se ci guardiamo attentamente, ci rendiamo conto che non siamo la somma di tanti infedeli, ma la somma di tante fedeltà. Ciascuno infatti è semplicemente fedele solo a ciò che ha inscritto nel proprio cuore e nella propria anima. •

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