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Le case torri della montagna

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Un viottolo, che a volte s’allarga, altre si restringe, un poco è di terra bianca battuta, un’altra porzione è di asfalto smozzicato dai geli e dalle intemperie. È un sentiero che taglia sopra a Cremore di Montefortino e conduce dritto dritto alle case torri all’altezza dell’incrocio Infernaccio/Santuario dell’Ambro.
Ci sono andato in un mattino presto degli ultimi giorni di ferie. Il clima era rinfrescato. Per strada, alcuni giovani caricavano legna sui carri. Provviste per l’inverno, proprie e altrui.
Un cagnetto bianco mi ha seguito per alcune centinaia di metri. M’è tornato in mente che un altro mi accompagnò per diversi chilometri lungo la Piana di Santa Scolastica. Ero impegnato nella Santa Vittoria in Matenano-Farfa: 195 chilometri a piedi.
La via di oggi è invece a difficoltà zero. Sulla sinistra scorre un ruscello. La prima casa torre che incontro è malmessa eppure ha un aspetto nobile. Trovo un martello per terra e lo appoggio sulla gomma abbandonata di un cingolato. Montefortino è aggrumato spuntando quasi forzosamente dalla folta vegetazione.
Nello zaino porto l’Atlante leggendario delle strade d’Islanda scritto da Jón R. Hjálmarsson. «In nessun altro paese come l’Islanda – ha precisato l’editore Iperborea – la fantasia è tanto legata al paesaggio, a una natura imprevedibile e misteriosa che non ha tardato a popolarsi di spettri, demoni, principesse elfiche ed eroici banditi capaci di vivere nei deserti di ghiaccio e lava degli altipiani interni». Non so quanto sia esclusivo. Le leggende sono state la cifra anche delle nostre terre. Connettendo con altre realtà, ricordo che l’Irlanda rinasce intorno alle storie di William Butler Yeats, poeta, drammaturgo, scrittore e anche senatore dello Stato Libero d’Irlanda negli anni venti. Non solo. C’è una storia leggendaria e… vera in Inghilterra. Quella di re Alfred appartiene alla tradizione popolare forse anche più di quella di Re Artù. Sulla collina del Berkshire, già dalla preistoria, appare l’immagine in gesso di un Cavallo Bianco. La White Horse Hill è stata sempre il luogo della riscossa delle popolazioni locali contro le invasioni. Emblema e vessillo. Lo racconta Chesterton nella sua Ballata del Cavallo bianco: «Sullo sfondo, dove sette radici d’Inghilterra stanno sotterrate una accanto all’altra, perché dovrebbe, mi chiedo, una vanga indebolita vibrare il colpo che ridesti i cavalieri, sollevando un fumo che offusca il sole?».
C’è un orto dinanzi a me, piccolo e ben curato. Riprendo il cammino e supero una stupenda casa torre a destra, ristrutturata sapientemente, e il vecchio stabilimento della Tinnea. Raggiungo l’Antico Mulino. Ma non sono arrivato. Un viottolo mi porta ad una specie di laghetto o grande stagno, invisibile dalla strada. Vi navigano ninfee e vi sguazzano trote pasciute.
Siedo penzoloni sul ponticello. Mi torna un canto degli Hobbit: «Nell’acqua, bosco e colle, tra il salice e il giunchiglio, con fuoco, sole e luna, ascolta il mio richiamo! Vieni Tom Bombadil, del tuo aiuto abbisogniamo». E se arrivasse anche Baccador, la figlia del fiume, nella sua veste verde di giovani germogli?
«Le radici profonde non gelano. Dalle ceneri rinascerà un fuoco». •

CAMMINO LA TERRA DI MARCA. Le case-torri di Montefortino. Tra Tolkien e le fiabe islandesi

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