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Chiesa ospedale da campo

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Per essere vicini a chi soffre.

PRIME RIELABORAZIONI

L’Ufficio della Pastorale della Salute e Bioetica ha avuto molto da lavorare in questo tempo di emergenza sanitaria. Dai contatti permanenti con la sede centrale di Roma e con tutte le altre diocesi ai collegamenti con il nostro territorio, per mettersi in ascolto di tanti bisogni e per farli presenti a tutta quanta la comunità ecclesiale, dalle associazioni alle parrocchie.
Un primo dato emerge con chiarezza: più di trecento persone hanno risposto al sondaggio proposto attraverso il questionario. Le domande caricate sul dispositivo riguardano sia la società sia la chiesa e sono le seguenti: 1. Cerca di descrivere/raccontare le sensazioni, i sentimenti, le paure, le incertezze, che in questo tempo sono emerse in te e nelle persone accanto a te. 2. Quali valori, sociali e personali, stanno emergendo in questo tempo? 3. Cosa stiamo imparando sul senso della vita da queste emergenza? Quali regole/indicazioni sociali, personali, pastorali dovremmo custodire per migliorare la nostra vita personale e le nostre comunità cristiane? 4. Quali sono, secondo te, i “bisogni e le ferite” che questo tempo sta segnando in tutti noi, e quali “nuove fragilità e bisogni, personali e sociali,” secondo te avranno bisogno di una maggiore e immediata attenzione da parte della Chiesa e delle associazioni? 5. In che modo, secondo te, la Chiesa e la comunità cristiana dovrebbe essere vicina ai bisogni, alle sofferenze, al dolore, delle persone in questo tempo di emergenza e anche nel “dopo-Covid-19”? 6. Cosa c’è stato, e cosa è mancato da parte della Chiesa in questo tempo di emergenza? 7. Il papa ci invita a considerare questo tempo come un “tempo di scelta: scegliere ciò che resta da ciò che passa; ciò che conta da ciò che è superfluo”. Quali sono, secondo te, le “scelte che la Chiesa, la parrocchia, la pastorale” devono fare per il “futuro del cristianesimo”? Cosa deve cambiare?
Per una sintesi, si è scelto di raggruppare le risposte in tre contenitori: sentimenti provati, valori in gioco, progetti per il presente e il futuro. Una cosa appare chiara fin da subito. I dati riflettono sostanzialmente quanto accaduto al paese. Eravamo del tutto impreparati ad affrontare un evento del genere e, di conseguenza, abbiamo vissuto appieno il dramma dell’imprevisto e dell’inadeguatezza ad ogni livello: sociale, ecclesiale, politico, sanitario, economico.
Sentimenti

L’immagine “psico-simbolica” che ricorre spesso nelle risposte date ai questionari è quella della tempesta in atto, con una conseguente paura dell’ignoto, di essere travolti da qualcosa che non conosciamo e che non riusciamo ad affrontare. Questa tempesta provoca incertezza, paura, angoscia, per sé, per i propri cari, per le persone fragili. In tanti si richiamano al brano del Vangelo di Mc 4,35-41, citato da Papa Francesco venerdì 27 marzo durante la preghiera a Piazza San Pietro: i discepoli si trovano in mezzo al mare impetuoso, con la barca in balìa delle onde, il vento di bufera che soffia contro e il maestro che dorme a poppa sulla barca. La paura predomina, insieme alla domanda che segnala una certa distanza dal Signore: «Non t’importa che moriamo?» .
La seconda immagine, che appare davanti agli occhi delle persone coinvolte dal sondaggio, è quella delle bare dei morti della provincia di Bergamo, messe dentro i convogli militari e portate verso destinazioni lontane. La desolazione predomina nell’animo della gente insieme all’insicurezza e alla percezione che dentro quei feretri potrebbe esserci uno di noi, dei nostri cari. Lo smarrimento è tale da provocare una sorta di shock, di forte trauma, come quando ci si trova a fare i conti con una malattia. Ricorre in molti anche la consapevolezza che non esista neppure un rifugio sicuro e che non ci sia nessuno che possa difenderci: né lo stato, né la chiesa, neppure lo stesso Dio, che, forse, si è stancato o dimenticato di noi.

Valori in gioco

Se i sentimenti diffusi sono quelli descritti sopra, è anche vero che la compassione provata genera un senso di forte solidarietà. La famosa frase del Papa: «Siamo tutti sulla stessa barca», ritorna con grande frequenza, quasi a voler dire la “costrizione/costruzione” di una comunità a livello locale, nazionale e planetario, secondo lo spirito dell’Enciclica “Laudato sì”. Emerge un senso di colpa verso le generazioni più deboli che, se visto in controluce, lascia spazio alla disponibilità a ripensare la cura verso i piccoli e gli anziani, verso i poveri e i dimenticati.
I valori in gioco hanno trovato una personificazione nella figura di Papa Francesco, al quale in tanti guardano per ravvivare la speranza e per trovare fiducia e conforto nella preghiera e nella disponibilità ad andare all’essenziale e lasciare il superfluo.
Una categoria molto adoperata è stata quella del bene comune verso il quale tendere. L’immagine del Cireneo riassume la volontà di prendersi a cuore la vita degli altri, evitando ogni senso di superiorità e onnipotenza.
Tra i valori in gioco, si sono resi evidenti il ripensamento di un tempo più umano e capace di favorire la nascita di processi relazionali. In alcuni il fatto di dover “resettare” tutto il ritmo quotidiano rappresenta un vantaggio perché lascia spazio a nuovi modelli di vita più umani.

Progetti

Il vero progetto da pensare e rendere operativo, a detta di moltissimi degli intervenuti, è la realizzazione dell’ospedale da campo che è la chiesa così come la sogna Papa Francesco. Questo implica necessariamente una più rapida cesura con il passato, fatto di sovrastrutture e appesantimenti dovuti alla storia, per essere più snelli e capaci di raggiungere con maggiore fretta evangelica i bisogni delle persone. Come direbbe qualcuno, non possiamo più fare i conti con la lira, se ormai da circa un ventennio si è introdotto l’euro. Inutile tentare di tradurre o di pensare con gli schemi del passato quello che ormai si regola con meccanismi del tutto inediti nel presente. Punto fondamentale, per imbastire un discorso progettuale, è il primato della carità o dell’amore.
Quello che in molti domandano o propongono è che ci sia una consapevolezza condivisa delle scelte da compiere, di modo che non si lasci alla buona volontà dei singoli ciò che è, invece, responsabilità di tutti i membri della chiesa e di tutti gli organismi pastorali. Quello che non si deve fare è che ci sia, da una parte, l’accelerazione di alcune punte avanzate e, dall’altra, la crescente lentezza di altre realtà che, invece, fanno più fatica a cavarsela in tempi difficili come questi. Un progetto richiede che ci sia un passo che tenga conto delle capacità e possibilità di tutti.
Preoccupa un dato di fatto. In questi mesi di stop della vita pastorale abitudinaria, purtroppo i consigli pastorali appena rinnovati non hanno potuto iniziare il loro lavoro e affrontare la difficile situazione di emergenza. Questo denota, in alcune parrocchie, la difficoltà a accedere alle tecnologie, grazie alle quali poter fare riunione al di fuori dei soliti schemi operativi. In questo si richiede una maggiore integrazione e connessione tra le varie zone della nostra chiesa diocesana: chi più ha, deve fare anche per gli altri e non pensare solo a se stesso. In sintesi, prima di lasciare la parola agli esperti che ci aiuteranno a leggere in profondità questi dati, possiamo affermare che la pastorale della salute e della carità, insieme a quella del lavoro, sono i punti cardine da cui poter partire per dare una fisionomia diversa alla chiesa, tale da poter affrontare questo tempo con maggiore agilità. •

 

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