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L’industria delle notizie false

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Occorre prendersi tempo per offrire e ricevere informazione di qualità

Per il 49,7% degli italiani la comunicazione sul Covid-19 è stata confusa, per il 39,5% ansiogena (un dato che sale al 50,7% tra i più giovani), per il 34,7% eccessiva e solo per il 13,9% della popolazione equilibrata. A rivelarlo è il rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”.

L’ attuale pandemia ai più rappresenta un caso esemplare di come un evento improvviso e sconosciuto, che ha impattato trasversalmente sulla vita di tutta la popolazione scatenando una domanda di informazione inedita a livello globale, possa essere oggetto di tanta cattiva comunicazione che, nella migliore delle ipotesi, ha confuso gli italiani sulle cose da fare, e in molti casi ha creato disinformazione. Sono passati ormai quindici mesi dall’esplosione del covid-19.
Oltre al virus si sono diffuse anche molte false informazioni che hanno creato una vera infodemia, cioè alcuni fatti mescolati alla paura, alla speculazione e alle voci, amplificati e trasmessi rapidamente grazie alle tecnologie moderne. Infatti da mesi siamo immersi nelle notizie, le produciamo, le condividiamo, le commentiamo; il più delle volte non ci domandiamo neppure da dove vengono né se sono attendibili. Certamente il web ha allargato la platea del mondo dell’informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, ma anche meno intermediazione e meno controlli sulla qualità e la veridicità delle informazioni che viaggiano in rete e ci arrivano.
Una volta ad informarci, ad orientarci e a guidarci nella costruzione della nostra immagine della realtà c’erano la carta stampata, la radio, la televisione; oggi ci sono anche e soprattutto internet e i social media, che rispondono ad almeno tre esigenze ben precise che abitano ognuno di noi: avere le notizie in ogni momento e in ogni luogo, disporre di una pluralità di fonti informative che esprimono diversi punti di vista e sentirsi protagonisti del circuito informativo. Però il risultato è un sovraffollamento comunicativo fatto di tante notizie che nascono e muoiono velocemente, alcune delle quali non sono verificate o sono addirittura inventate con il rischio che, piuttosto che accrescere la conoscenza e la consapevolezza di un determinato accadimento, generino ansia, allarme sociale, visioni distorte della realtà e delle volte provochino orientamenti e comportamenti che possono avere conseguenze negative sui singoli individui o sull’intera comunità. Internet è un terreno insidioso per i creatori ed i consumatori dei contenuti. Perché se è vero che il web è una prateria infinita di notizie, resta anche vero che ciascuno decide quali sentieri percorrere, che sono fortemente influenzati dal proprio stile di vita, dal proprio modo di pensare, dai comportamenti, dall’orientamento ideologico e dal proprio ambiente di riferimento, per cui i più finiscono per andare a ricercare nel web quella immagine della realtà che meglio è in sintonia con il proprio universo valoriale e che non necessariamente corrisponde alla realtà vera.
Gli studiosi della comunicazione chiamano questo fenomeno il «pregiudizio di conferma» o «confermation bias». Tale bias cognitivo fa sì che le persone tendano ad assimilare più facilmente informazioni in accordo con quelle che sono già le proprie convinzioni personali, mentre ciò che è in qualche modo in contrasto viene spesso ignorato. In un simile contesto discernere la notizia vera da quella falsa è un’impresa difficile sopratutto per chi ha poca dimestichezza con le nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione.
Un tempo c’erano le agenzie di comunicazione, le agenzie di stampa, i cronisti che filtravano le notizie da inviare ai giornali, alla televisione, alla radio e si facevano garanti dell’affidabilità e della qualità delle notizie. Con il web la filiera dell’offerta di comunicazione si ampliata e si è accorciata, al punto che produzione, distribuzione e consumo ormai coincidono: nella rete sono gli stessi utenti finali a produrre e condividere le notizie facendole girare. Il coronavirus ha portato all’attenzione di tutti quali sono i pericoli che si annidano in una comunicazione senza filtri, proliferante, disordinata, alimentata da chiunque e in ogni luogo, che ha nel web l’epicentro del pericolo di disinformazione e di circolazione di fake news. Si tratta di una vera e propria industria di notizie false. Per combatterla dobbiamo ognuno prendersi la responsabilità di creare un circuito di informazioni virtuose. Ciò dipende dalla costruzione di percorsi di sensibilizzazione in grado di coinvolgere sia i ragazzi che gli anziani e spiegare loro come si fa per verificare se una notizia è falsa o vera. Inoltre ognuno dovrà prendersi quel tempo necessario per individuare le fonti delle notizie che ci arrivano. Bisogna capire chi è l’autore di ciò che ci arriva e attribuirgli il giusto peso delle sue argomentazioni. Già i social network stessi si stanno muovendo per lottare contro la disinformazione.
La sfida più ardua resta la cultura della post-verità alla quale ci stiamo abituando. Non esiste una ricetta miracolo contro quella si potrebbe pensare ad esempio un’accurata dieta mediatica per tutti. Non bisogna abituarsi ad una sola fonte di notizia come anche nella vita di tutti i giorni è importante sentire diversi punti di vista per costruirsi un’opinione precisa su argomenti e temi complessi in sé stessi. Considerando la velocità con le quale nascono e viaggiano le false notizie oggi; bisogna prendersi del tempo per offrire e ricevere una informazione di qualità. La sfida riguarda un po’ tutti. Ne va della nostra stessa identità. I post, gli sms, i vocali e audio scambiati nelle chat e nei social media non descrivono soltanto i fatti ma definiscono al tempo stesso l’autore che li produce o i condivide. •

Don Lambert Ayissi Ongolo

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