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“Prendiamoci cura degli edifici sacri”

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L’arcivescovo mons. Pennacchio: “Le chiese di pietra, da secoli ci ricordano di essere case di Dio e case degli uomini.”

FERMO – Una ricostruzione sostenibile, sicura, connessa quella illustrata nel corso dell’iniziativa dell’Arcidiocesi Metropolitana di Fermo con il seminario “Ripara la mia casa”, rivolto a progettisti, imprese edili ed uffici tecnici diocesani. Il convegno si è svolto presso l’Auditorium “Gennaro Franceschetti” di Fermo e promosso dall’Ufficio Tecnico diocesano e dall’Ufficio diocesano Beni culturali. Nel corso dell’evento, si sono approfondite le tematiche della ricostruzione post sisma eco-sostenibile a partire dalle indicazioni espresse da Papa Francesco nella lettera enciclica “Laudato si” sulla cura della casa comune. Inoltre sono stati presentati i protocolli in materia e le progettazioni già concluse e certificate riguardanti sia per l’edilizia di culto che l’edilizia privata. Sono oltre 50 le chiese dell’Arcidiocesi di Fermo colpite dal sisma del 2016. Ad intervenire nel convegno anche, l’arcivescovo mons. Rocco Pennacchio.
“Nella Vita seconda di San Francesco d’Assisi, – esordisce mons. Pennacchio – si racconta che il santo, dopo l’incontro col lebbroso, in preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano, da lui ricevette un ordine ben preciso: «Francesco, va e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Annota Tommaso da Celano: “quantunque il comando del Signore si riferisse alla Chiesa acquistata da Cristo col proprio sangue (At 20, 28), Francesco non volle di colpo giungere alla perfezione dell’opera, ma passare a grado a grado dalla carne allo spirito” (FF 595). Abbiamo preso ispirazione da questo episodio e provo a spiegarne il perché”.

L’Arcivescovo prosegue il suo intervento sul significato più profondo dell’incontro . “Compito dei cristiani – afferma mons. Pennacchio – è l’edificazione del Regno di Dio, di cui la Chiesa è segno presente nel mondo. In essa, ci dice S. Pietro, utilizzando metafore edili, anche noi veniamo “impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (1Pt 2, 5). La comunità cristiana è perciò l’edificio spirituale di cui le chiese di pietra sono segno visibile; e, come San Francesco, attraverso la “carne” della chiesa di San Damiano doveva arrivare allo “spirito”, cioè alla Chiesa da riformare, così per i cristiani, gli edifici devono condurre alla perfezione dell’opera di Dio, la comunità cristiana. Per questo, la vita dei pastori, del vescovo innanzitutto, è un continuo “riparare la sua casa”, promuovendo l’edificazione della Chiesa (che, per fortuna, non è diroccata come lo era San Damiano), perché ci interessa la salvezza delle persone, l’edificio spirituale, casa che Cristo ha scelto per suo corpo. Ma anche le chiese di pietra, come sulle prime aveva pensato San Francesco, sono la sua casa, segni visibili della presenza di Dio tra la “carne” della gente, perciò non restiamo indifferenti di fronte allo stato di conservazione in cui versano. E quando apriamo cantieri per ripararle, dobbiamo metterci tutta la cura possibile perché stiamo riparando la sua casa”.

“Non solo – prosegue l’Arcivescovo – poiché Gesù Cristo non ci salva separatamente gli uni dagli altri ma come popolo”, le chiese ci permettono di riunirci, riconoscerci visibilmente comunità, persone in comunione con lui e tra di loro; esse perciò sono anche la casa della comunità, della chiesa visibile. “Ripara la mia casa”, oggi, in questo Seminario, vorrà dire allora che le chiese di pietra sono anche le nostre case, i luoghi in cui ognuno può entrare e sentirsi a casa sua.
Le chiese di mattoni, senza una comunità, non assolvono pienamente al loro compito. Non a caso, ormai quattro anni fa, nel redigere il primo elenco delle chiese da ricostruire, si diede priorità assoluta ai centri dove la popolazione non aveva nemmeno una chiesa agibile perché non aveva un luogo dove riconoscersi “comunità”; ed è stato faticoso, lo è tuttora per alcuni centri, celebrare e radunarsi in luoghi confortevoli, forse, ma senza alcun richiamo alla propria storia religiosa. Tuttavia, dobbiamo prenderci cura degli edifici sacri anche in quei luoghi purtroppo non più vitali a causa dello spopolamento, perché sempre esprimono una comunità che nel passato, ha voluto costruirsi una casa, un punto di riferimento, come accade per una famiglia. Tante volte ho ascoltato da preti anziani racconti di solidarietà, di un popolo entusiasta di lavorare insieme per darsi un luogo di culto e di incontro perché non avevano una chiesa propria o andava adattata a nuove esigenze sociali e hanno dovuto costruirsene una. Queste vicende, commoventi e preziose, appartengono alla nostra storia e raccontano l’intimo legame tra l’adorazione di Dio in spirito e verità, la comunità e le chiese di pietra che da secoli ci ricordano di essere case di Dio e case degli uomini.
Oggi non è scontato coinvolgere la comunità nel “riparare la sua casa”, mentre un tempo era normale. Sentiamo viva l’esigenza che le motivazioni pastorali e spirituali che sempre devono ispirare l’avvio di un cantiere, siano sostenute da un’etica della responsabilità specialmente verso l’ambiente, anch’esso una casa, la casa comune che, come sappiamo, è messo continuamente a rischio specialmente dai cambiamenti climatici, a loro volta accelerati da comportamenti umani intollerabili”. •

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