L’arcivescovo di Fermo lo ha detto senza mezzi termini domenica scorsa dinanzi ad un migliaio di genitori seduti nell’auditorium del Fermo Forum di Molini di Fermo.
Chiamato sul palco a trarre le conseguenze di una serie di interventi da parte di rappresentanti delle famiglie, non si è tirato indietro.
“Nelle nostre case – ha detto – sono entrati i ladri”.
Non pensava ai malviventi che da qualche anno seminano timore nel fermano.
Per il presule, altri sono stati i ladri all’opera: quelli che hanno portato via alle famiglie la preghiera in comune, il silenzio, il dialogo tra genitori e tra genitori e figli, un modello di vita onesta.
Si tratta di una rapina i cui effetti li stiamo vedendo proprio in questi tempi di crisi e dissoluzione.
L’arcivescovo ha invitato i laici all’incontro tra famiglie, a costituire reti sostanziali, alla presenza e alla testimonianza.
“Non aspettatevi niente dai politici”, ha rimarcato due volte.
“Siate testimoni sino al martirio. Venite fuori, consumatevi come lievito nel mondo e fate questo nella gioia. È l’unica speranza che abbiamo.”
Una speranza che non viene dalla “politica perché – ha ribadito mons. Conti – “i cattolici in politica sono tutto meno che cattolici”.
Allora, giunti a questo punto “la politica vada dove vuole”.
Come dire: si rinchiuda pure nei suoi recinti, celebri pure i suoi stanchi riti, faccia i suoi giochi, questa politica non ci interessa perché non difende più il bene di tutti.
Rispondendo ad una affermazione per cui i laici/cattolici sarebbero molto più avanti del clero, l’arcivescovo ha spiegato che il compito dei preti è di “dare forma alla fede”.
Nelle stesse ore papa Francesco twittava: i sacerdoti siano più sacerdoti, i vescovi più vescovi, le suore più suore.
400 fidanzati, un migliaio di genitori, una sessantina di bambini. Questi i numeri dell’ultima doppia festa: quella dei Fidanzati e quella della Famiglia, del fine settimana scorso.
Un racconto di ricchezza enorme: dagli affidi, alle adozioni, dalle Famiglie Numerose a quelle di Mondo Minore. Un muoversi fervoroso sotto traccia che tiene ancora saldi pezzi di società. •
“Non aspettatevi niente dai politici”. È il richiamo dell’Arcivescovo ai presenti al Fermo Forum
Una pietra nello stagno. Che ha mosso le acque. L’arcivescovo di Fermo ha lanciato un messaggio forte domenica scorsa al Fermo Forum.
“Non aspettatevi niente dai politici, difendete voi la famiglia… venite fuori, siate lievito”.
Sembra una delle solite omelie cui i sacerdoti, quelli di un tempo, ci avevano abituati.
Forse, anche inconsapevolmente, mons. Luigi Conti ha fatto però capire molto più di quello che ha pronunciato. Sicuramente lo ha capito chi la politica, a Fermo come ad Ancona come a Roma, la sta facendo tutti i giorni: la rimessa a tema, anche indirettamente, della presenza dei cattolici nella società, presenza, se vogliamo usare un termine politologico, che è squisitamente meta-politica. Che viene prima della politica. Che è mentalità, costume, uso. Che proviene dalla fede. Se c’è ancora.
In termini evangelici, posiamo dire: la fede e le opere.
Si potrà sorridere alla domanda retorica del quanto pesano oggi i cattolici in Italia.
L’Eurispes ci fa sapere che i cattolico-credenti sono il 71,1% degli italiani ma solo il 25,4% (del 71,1%) è praticante. Minoranza, dunque.
Però – e qui sta il punto – una minoranza ancora grosso modo aggregata o con maggiore possibilità di aggregazione, e, nonostante gli scandali nella chiesa-istituzione, ancora unita di fondo. Come i primi che erano visibili nel Portico di Salomone a Gerusalemme. Quasi unico blocco, o roccia, o punto di riferimento, o faro, nel disgregato, e annacquato, e liquido, mondo occidentale, e quindi anche nel nostro piccolo territorio periferico.
Le parole dell’Arcivescovo di Fermo, tra l’altro in procinto di andare in pensione a maggio, sgorgano direttamente dalla Dottrina sociale, quella che indica come soggetto protagonista della società proprio la famiglia, l’unità delle famiglie, le associazioni. In una parola: i corpi intermedi: presenza di opere e di fatti di cui la politica dovrebbe prendere atto e conto; presenza forte nei territori che dovrebbe far sentire la propria voce ai capoluoghi di regione e alla Capitale.
Quelle “ventimila sanmarino” di cui parlava don Lorenzo Milani, capaci, solo esse, di proteggere culture e identità.
Purtroppo oggi i “ventimila sammarino” sarebbero annessi in un’unica spersonalizzante megalopoli (si parla o no di fusioni istituzionali se non di annessioni di piccoli municipi?).
Un richiamo forte, allora, in un momento di gigantismo, accentramento e disaggregazione del popolo.
Nell’Ottocento, la presenza popolare e la conseguente realizzazione di opere a sua difesa (ospedali, piccole banche, scuole, artigianato, ecc.) vennero dal movimento sociale cattolico e da quello socialista-operaio. Il fermano fu un esempio.
E oggi? Autonomie negate (prefettura? provincia?) e identità difese a parole e negate nei fatti.
“Fate da soli”. Forse è meglio. •