NOTA PASTORALE NUMERO 5
Consummati in unum: in queste tre parole prese dal Vangelo di Giovanni non è racchiuso semplicemente il motto episcopale dell’arcivescovo Luigi, ma traspare tutta l’essenza del suo ministero, fatto di un’attenzione costante al fatto che coloro che si professano cristiani potessero giungere ad una vera e propria perfezione: perfetti nell’unità. La meta è assai ambiziosa, ma certamente alla portata, e la Chiesa la può raggiungere se riscopre la sua missione “sacramentale”. L’unità è innanzitutto frutto dell’unione intima con Cristo, e ciò predispone la Chiesa a diventare, nel mondo, segno efficace di salvezza.
Roba seria, e soprattutto responsabilizzante; concetti forse complicati, intrisi di teologia, ma che dobbiamo necessariamente comprendere e possedere, se vogliamo che il Vangelo non resti lettera morta e patrimonio esclusivo degli “addetti ai lavori”, categoria in cui normalmente siamo soliti annoverare il clero e la cosiddetta “gerarchia”.
La Nota pastorale n°5 è stata pubblicata il 7 Febbraio del 2010 in occasione del rinnovo, per le parrocchie che hanno colto questa opportunità, dei Consigli pastorali; nel titolo esprime chiaramente la vocazione degli Organismi di partecipazione a servizio dell’edificazione del popolo di Dio, edificazione che deve avvenire, come esplicato nel motto, nell’unità.
La Chiesa sta profondamente cambiando; è costretta a cambiare, e lo stesso Concilio Vaticano II si è fatto tra i primi interpreti di questo cambiamento.
La società non coincide più con la “cristianità”. Il modello tradizionale, che ci aveva accompagnato per secoli, si è andato disintegrando, parallelamente al drastico calo delle vocazioni sacerdotali. La Chiesa quindi oggi declina la sua sopravvivenza spostando il proprio baricentro dalla gerarchia al popolo, dal clero ai laici, per cercare di trovare un nuovo punto di equilibrio che sta proprio nella sinergia dell’impegno di presbiteri e laici; sintesi che va ricercata e trovata all’interno degli Organismi di partecipazione, a partire dalla singola parrocchia per arrivare all’intera chiesa locale.
Ma attenzione, e su questo l’arcivescovo è estremamente chiaro nella sua analisi: la Chiesa non deve cambiare perché mancano i sacerdoti, ma per il fatto che essa si regge sulla comunione, e la comunione si regge sulla corresponsabilità di tutti i suoi membri, e sottolineo il tutti.
Deve emergere la corresponsabilità, e non il protagonismo più o meno carismatico dei singoli. Solo così la Chiesa potrà esprimere in modo efficace il ruolo per cui il Signore l’ha inventata, che è quello di essere madre, capace di generare i suoi figli alla vera Fede.
Ci siamo abituati, forse anche non comprendendolo fino in fondo, in questi undici anni di ministero, a un arcivescovo certamente molto riservato, a volte anche schivo, defilato e lontano dal ricercare consenso e successo personale. Ma ciò che tutti avremo sicuramente apprezzato, perché inequivocabile e proprio per questo credibile, è la sua profonda unione con Cristo. Basta e avanza, secondo me, per suscitare in chiunque lo abbia ascoltato quel desiderio di impegno corresponsabile alla base del rinnovamento della Chiesa.
Il vero pastore non deve necessariamente essere onnipresente; deve saper indicare l’essenziale, perché coloro che lo ascoltano, guardando all’essenziale, possano crescere perfetti nell’unità.•