E’ un concetto semplice e diretto; quasi uno schema geometrico, e proprio per questo comprensibile e riproducibile. Da quando Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa le cosiddette “periferie esistenziali” sono subito entrate nel nostro vocabolario, hanno popolato i nostri dibattiti, stanno trovando il posto che meritano nei nostri piani pastorali, hanno riempito la bocca di molti opinionisti, ed il richiamo a questo concetto ha fatto sì che tanti, anche lontani dalla fede, strizzassero l’occhio al nuovo Pontefice “rivoluzionario”. Ma leggendo al di là delle apparenze, è proprio la spiritualità gesuitica di Papa Francesco a rivelarci cosa significa percorrere ed abitare le periferie dell’umanità: solo se Cristo è il centro, allora ci è possibile essere in periferia, e trasformarla in un habitat naturale. Per la nostra esperienza di credenti e pietre vive nella Chiesa possiamo parlare di uomo decentrato solo se mettiamo a frutto il nostro Battesimo, immergendoci integralmente in Cristo e diventando, noi, come dice Francesco in un altro passaggio dell’intervista, Vangelo puro.
Una vera centralità del Cristo è proprio il segreto per conservare questa purezza dell’annuncio e della testimonianza, e neutralizzare tutti i fattori inquinanti che ci distraggono nel tentativo di praticare una carità autentica, primo fra tutti la sempre facile confusione, che dovremmo aver imparato a riconoscere, tra Vangelo della Carità e Carità del Vangelo. Si fa presto a parlare di periferie, ma in questi territori difficili, un conto è portare noi stessi, e la tentazione è sempre in agguato, ed un conto è portare Gesù Cristo, e con lui la misericordia e la speranza che non delude! L’uscita verso le periferie non può essere compiuta giocando al ribasso; gli abitanti delle periferie non si accontentano di una vaga filantropia, ma sono in attesa di chi potrà soddisfare i desideri più profondi, che non si riducono mai a desideri di cose. Tutto il resto, a proposito di periferie esistenziali, sono chiacchiere, pure illusioni e mistificazioni. Dovremmo appropriarci di questo tema della Chiesa che sa uscire da se stessa, e trarne ossigeno per rianimare l’esperienza caritativa delle nostre parrocchie, che possono facilmente adagiarsi nella tentazione dell’autosufficienza, della chiusura in se stesse, prigioniere di un tradizionalismo ormai sterile.
Per questo l’esempio di Francesco è un “pungolo” per le nostre comunità, oltre che la via per recuperare credibilità. Parafrasando la famosa frase attribuita a San Cipriano, potremmo concludere “extra Christum nulla caritas”: nessuna carità è possibile se Cristo non ne è il fondamento. Provare per credere! •
Paolo Iommi