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Sono forestiero e mi accogliete

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numero 15Ne dobbiamo accogliere altri dieci. È questa la sesta accoglienza che facciamo. Siamo al limite: 80 persone. Tutte di sesso maschile provenienti dal Gambia, Mali, Nigeria, Burkina Faso, Togo, Senegal, Ghana, Guinea Bissau, Niger, Costa d’Avorio, Marocco.

È Suor Rita, delle Piccole Sorelle di Gesù, che ci accoglie in un’ala del Seminario dove c’è un gran movimento. Ed è lei la responsabile dell’accoglienza di questo nutrito gruppo di richiedenti asilo politico. È lei che sta in stretto contatto con Prefettura, carabinieri e Polizia. È lei la responsabile di questa opera testimoniando calore, amicizia, umanità a persone che hanno molto sofferto. Tra una telefonata e le continue interruzioni di chi la cerca per qualche consiglio o suggerimento riusciamo a fare quattro chiacchiere con lei. È serena, luminosa, energica. È una di quelle persone che riescono a trasmettere quello che Pietro e Giovanni dissero allo storpio depositato presso la porta “bella” di Gerusalemme: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina”.

Com’è il clima di questo “unità di crisi”?

Buono direi. Le persone presenti da noi, (di lingua inglese e francese, più un’unica persona che parla solo arabo), vanno abbastanza d’accordo. Si aiutano tra di loro. Il nostro lavoro infatti è quello di metterli insieme. Non è facile, perché alle spalle hanno gravi ferite e hanno incontrato persone che li hanno delusi, picchiati, a volte, derubati. Il loro viaggio, oltre il prezzo economico (solo quello del traghetto si aggira sui 700 dollari), ha un prezzo altissimo in dignità. Abbiamo ospiti che hanno un’età che va dai 18 ai 27 anni.

Come si svolge una giornata tipo?

Da lunedì a venerdì studiano. Abbiamo allestito una scuola di lingua italiana dalle ore 9 alle ore 12,30. Nel pomeriggio ci sono attività sportive e colloqui con la psicologa.

Come riuscite a essere presenti 24 ore su 24?

Abbiamo tre dipendenti part time, ma soprattutto c’è il volontariato e la buona risposta delle famiglie. Solo così riusciamo a programmare turni che assicurino una presenza significativa.

Qual è la difficoltà che avete incontrato nell’accogliere i profughi?

Quella di entrare nelle loro storie. Per ordine della Prefettura, abbiamo avuto l’obbligo di redigere una sorta di carta di identità in cui oltre al nome e alla provenienza, doveva presentare per sommi capi la loro storia. È stato difficile. Non tutti infatti riuscivano a ripercorrere il carico di sofferenze subite. Alcuni infatti portano sul loro corpo il segno delle cicatrici per i colpi di frusta ricevuti. Qualcuno ha sfidato più volte la morte in un viaggio rocambolesco e avventuroso. Spesso il racconto veniva spezzato dai singhiozzi e dal pianto.

Qual è stata invece la bellezza di questo servizio?

Il vedere che pian piano si diventa famiglia. È bello vedere come culture diverse si integrano. È interessante notare come decine di persone provenienti da culture diverse ed estranee a quella italiana si impegnano magari pulendo i loro ambienti, cercando di essere puntuali, dando una mano a chi ha difficoltà nella comunicazione. È un lavoro che esige disponibilità, flessibilità e tanta fede.

Come si sente?

Ringrazio Dio per questo dono grande che mi ha dato. È una crescita quotidiana a contatto con questi miei fratelli. Ho imparato che mettendomi in ascolto dei problemi degli altri scompaiono i miei. Certo a sera sono stanchissima, ma il cuore vola alto. E al mattino mi sveglio con una carica straordinaria.

Quando i tuoi familiari hanno saputo di questo tuo incarico, cosa ti hanno detto?

Si sono un po’ preoccupati per il lavoro che mi occupa 24 ore su 24.

Se questo lavoro è così coinvolgente, non rischi di perdere il tuo carisma di Piccola Sorella?

Ci sono dei momenti che non possono mancare nella mia giornata: lodi e eucarestia al mattino. Poi, ogni giorno, vespro e adorazione in Fraternità. Ed è bello sperimentare che alcuni ospiti vengono con noi a Messa nella chiesa di S. Marco alla Paludi. Dei presenti solo 12 sono cattolici. Ma c’è un ragazzo che vuole diventare cristiano e uno che vuole prepararsi per ricevere il battesimo.

C’è qualcuno che vuoi ringraziare in maniera particolare?

Il Vescovo prima di tutto che ha accettato questa sfida della carità, mettendo al primo posto l’accoglienza di Gesù nascosto nei “forestieri”. “Ero forestiero e mi avete accolto”. Poi vogliamo ringraziare tutti i diaconi che si sono coinvolti con molta disponibilità e premura, dando il segno di una diocesi che ha istituito il diaconato, prima di tutto, come ministero della carità. •

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