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Gli Italiani? Brava gente!

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Fermo, oratorio S. Carlo: incontro con due dei 120 rifugiati

Il racconto di Daniel e Samuel, due dei 120 rifugiati ospiti del Seminario di Fermo con le loro storie di fuga dal terrore e la speranza di una nuova vita ritrovata nelle Marche
Iniziativa culturale del Ricreatorio San Carlo
“Se in un paese hai il diritto e la possibilità di andare in Chiesa, avrai la possibilità di fare tante altre cose. Non ho fatto ho esperienze negative in Italia. In qualsiasi paese si possono incontrare difficoltà. Se per esempio un italiano uccide un uomo di colore non significa che tutti gli italiani siano lo stesso. Gli italiani sono delle brave persone. Io non sono qui per creare problemi. Sono venuto dai problemi e cerco la pace quindi, ringrazio Dio per la mia vita”.
Daniel, 25 anni, da qualche tempo in Italia, è uno dei 120 rifugiati ospitati presso il Seminario di Fermo.
Il ragazzo si è reso disponibile a raccontare la sua storia all’interno dell’iniziativa culturale dal titolo “La bellezza dell’incontro” promossa dal Ricreatorio San Carlo della Diocesi di Fermo per far conoscere i giovani stranieri fuggiti dal terrore, le loro storie e il funzionamento della macchina organizzativa del corridoio umanitario. Conoscere per capire.
L’incontro con i rifugiati è stata coordinata da don Michele Rogante con l’intervento di suor Filomena della congregazione delle ‘Piccole sorelle’. L’incontro è stato organizzato con l’obiettivo di far conoscere le attività dei ragazzi, della struttura e la loro cultura per diradare la nebbia sulle paure accresce il confronto con la cittadinanza e la conoscenza delle sofferenze di quei giovani rifugiati.
Daniel ha voluto raccontare la sua storia. E’ uno dei tanti che ogni settimana attraversano il Mediterraneo a bordo di quei gommoni della speranza troppo spesso teatro di orrore e morte. Nei suoi occhi rimarrà indelebile il dolore delle persecuzioni in Libia dove viveva e lavorava con suo padre e le sofferenze subite durante il viaggio verso l’Italia.
“Daniel ha vissuto poco in Ghana, quando aveva 9 anni si è trasferito in Libia dove viveva con il papà. – racconta suor Filomena – Lì lavoravano e fino a quando c’era Gheddafi vivevano abbastanza serenamente. Dopo Gheddafi sono stati visti come stranieri e quindi perseguitati. Hanno chiesto loro di lasciare il paese perché non volevano convertirsi all’Islam. Il padre è scomparso misteriosamente.
Qualcuno lo ha prelavato e Daniel non lo ha più visto. Così lui ha continuato a lavorare in autolavaggio ed ha subìto angherie a livello sia verbale e fisico. Gli dissero: ‘Se tu te ne vai in Europa pregherai il tuo Dio ma se rimani qui noi ti perseguiteremo se non diventerai islamico’. E’ stato due mesi e mezzo in un campo con altre persone poi è stato portato in spiaggia e messo su un gommone. Ha pagato 500 dinari per il viaggio. Dopo due giorni dopo essere arrivato a Brindisi è arrivato subito a Fermo”. Insieme a Daniel anche Samuel, 20 anni, originario del Camerun. “Ho perso sia mia madre che mio padre prima di lasciare il mio paese. Io non riesco a spiegare bene cosa è successo perché mi fa male ogni volta che lo racconto. – ha raccontato il ragazzo – Ho anche una sorella più piccola di cui ho perso le tracce. Non so se sia viva o no. Ho lasciato il mio paese quando avevo 18 anni. Ci ho impiegato due anni ad arrivare in Italia. Io non avevo né risorse economiche né sapevo dove andare. Sono stato in Nigeria, Algeria, Marocco, Libia e poi in Italia. Quindi ognuno di noi ha avuto il suo viaggio diverso.
Ho sofferto molto perché non conoscevo nessuno. Non sapevo dove andare quando sono arrivato in Libia sono stato immediatamente arrestato dai terroristi. E’ qualcosa che mi fa ancora molto male raccontare. Ho visto tante persone morire durante il mio viaggio”.
Dopo il terrore la speranza in Italia “Io mi aspetto di vivere felicemente. Non mi aspetto tanto. Voglio solo essere una persona normale. Fare le attività normali che tutti fanno. Andare fuori uscire con gli amici, avere un lavoro. Da quando sono nato per me c’era un futuro ma ad un certo punto della mia vita è andato tuto all’aria ed ho vissuto alla giornata aspettando da Dio quello che sarebbe arrivato. Io andavo a scuola, avevo studiato, giocavo a calcio. Poi ho perso i miei genitori e tutto è precipitato”.
Suor Filomena che in seminario insegna l’italiano ha tradotto gli interventi dei due giovani rifugiati e sulle domande di don Michele Rogante ha illustrato la macchina organizzativa per il funzionamento dell’ospitalità.
“E’ stata creata una cooperativa agricola con cui sono stati impiegati alcuni ragazzi: raccolgono erbe di campo in alcuni terreni della Valdaso. – ha raccontato suor Filomena – Si pensa che oltre alla raccolta si possa passare anche al confezionamento delle verdure. Alcuni di loro sono stati impiegati come assistenti badanti alla Casa del clero, altri assunti con voucher.
Una delle carte vincenti è stata quella di responsabilizzarli. Pulizia, gestione degli spazi, lavanderia, assistenza. Tutti lo fanno gratuitamente mentre altri con mansioni specifiche. Se non ci fossero loro per noi sarebbe impensabile. Gestire 120 persone non è facile. Senza di loro sarebbe difficile andare avanti”.
“All’ inizio – ha aggiunto – molti di loro hanno fatto lavori di pubblica utilità con il Comune come per la gestione delle aiuole, alcuni all’associazione il Ponte, altri nell’assistenza dei disabili. Alcuni di loro hanno imparato a cucinare facendo il volontario”. Mediatori culturali, avvocati per seguirli a livello legale, cuoche, uno staff di persone si occupa delle 120 persone.
“Insieme ci si conosce e si mettono da parte paure e tante altre cose. – ha chiudo don Michele Rogante – Se dopo questa sera andando a casa riusciamo ad essere portatori di comunione, di conoscenza, di apertura mentale”.
Don Michele ha chiuso il suo intervento citando un racconto contenuto nel giornalino che contiene le storie dei ragazzi. “ Oggi noi abbiamo parlato di una Fermo diversa e sappiamo che fermo è diversa”. •

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