Festival a Smerillo dal 16 al 24 Luglio con tanti ospiti illustri e con proposte culturali stimolanti e affascinanti da non perdere.
Smerillo. È come se il sapore del tempo andato, del buon tempo andato, e un sogno che fatica a mutarsi in risveglio, mi legassero ancora a quella terra, a quei boschi, a quei ruscelli, a quei fiori, a quelle atmosfere arcadiche e idilliache. Tutto, dunque, cosí fuori tempo? Tutto cosí datato, troppo datato, superato, manieristico?
Al pari del virgiliano pastore Melibeo, tanti anni fa lasciai Smerillo, e sento mie le struggenti elegiache espressioni del poeta mantovano:
“Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi / silvestrem tenui musam meditaris avena; / nos patriae finis ed dulcia linquimus arva; / nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra, / formosam resonare doces Amaryllida silvas.”
“Titiro, tu riposando sotto un grande faggio / componi una melodia silvestre con il flauto sottile; / noi lasciamo la patria terra e i dolci campi; / noi fuggiamo la patria; tu, Titiro, sdraiato nell’ombra / insegni ai boschi a riecheggiare il nome della bella Amarillide.” Virgilio, I Bucolica.
A Smerillo, canta a sua volta Titiro, c’è quanto può assicurare la quiete dello spirito: i doni essenziali e miti della natura, che placano l’attesa dolorosa della piú dolorosa partenza. E i doni, aggiungo, che placano l’animo in quel ‘frattempo’ che si dispiega tra ogni ‘adesso’ e il mistero di ogni partenza:
“Sunt nobis mitia poma, / castaneae molles et pressi copia lactis; / et iam summa procul villarum culmina fumant, / maioresque cadunt altis de montibus umbrae.”
“Abbiamo teneri pomi, / morbide castagne e abbondanza di latte cagliato; / lontano fumano i camini sui tetti delle ville / e vaste ombre cadono dalle alte montagne.” Virgilio, Bucolica I.
I doni di natura sono sempre graditi lassú, pur se: “Horrifice fertur divinae matris imago.” (“Terrifica si erge l’immagine della divina madre.” Lucrezio, De rerum natura, Libro II) e “Stant et iuniperi et castaneae hirsutae.” (“Vi crescono ginepri e castagni dai ricci spinosi.” Virgilio, Bucolica VII).
A Smerillo, Titiro – è ancora Melibeo che parla – “potrà attingere l’ombrosa frescura tra i familiari corsi d’acqua e le sacre sorgenti; mentre sotto l’alta rupe canterà al vento il potatore”:
“Hic inter flumina nota / et fontis sacros frigus captabis opacum. / Hinc alta sub rupe canet frondator ad auras.” Virgilio, Bucolica I.
Vi si trovano pascoli come quelli “che il Menalo adombra celando il sole con l’alta vetta declive, dipinti dal vario colore dei fiori e delle erbette. Coperto da fronde di salici, un umile ruscello li circonda, e irrora le rive con le onde perpetue scaturite dalla sommità della costa; senza fatica, per scorrere calmo, si è fatto via delle acque che il monte fa sgorgare dall’alto. Qui Mopso, mentre i giovenchi giocano sui morbidi prati, contempla festante le opere degli uomini e degli dei: indi nelle canne della zampogna racchiude interiori esultanze, sí che gli armenti seguano la dolce melodia, scendano dal monte verso i campi ammansiti i leoni, refluiscano le onde, si inchinino il Menalo e le fronde della selva.”
“Pascua sunt ignota tibi que Menalus alto / vertice declivi celator solis inumbrat, / herbarum vario florumque inpicta colore. / Circuit hec humilis et tectus fronde saligna / perpetuis undis a summo margine ripas / rorans alveolus, qui, quas mons desuper edit, / sponte viam, qua mitis eat, se fecit aquarum. / Mopsus in his, dum lenta boves per gramina ludunt, / contemplatur ovans hominum superumque labores: / inde per inflatos calamos interna recludit / gaudia sic ut dulce melos armenta sequantur, / placatique ruant campis de monte leones, / et refluant undae, frondes et Menala nutent.” Dante, Egloga I.
Ma non è solo un irrealizzabile desiderium temporis acti che ai miei occhi consacra Smerillo. Non solo una voluttà di ritorno impossibile a una personale e mai esistita età dell’oro, o il vagheggiamento di un paradiso perduto. Non solo un’idealizzazione spinta fino all’illusione o al vaneggiamento. V’è qualcosa di piú profondo; qualcosa che ha a che fare, sempre, con il diradarsi di un sipario, con l’aprirsi di uno scorcio che dalle cose e dalle rocce si dilata verso l’infinito; con le ragioni originarie della conoscenza, dell’arte, della poesia.
I citati versi di Virgilio, di Lucrezio e di Dante, come tutte le grandi realizzazioni poetiche, non sono dilettevoli evasioni o amabili fughe dalla realtà; sono, al contrario, versanti simbolici: rappresentano cioè universali termini mediani, o intermediari, fra il nostro sguardo e l’infinita ‘il-leggibilità’ del mondo. Smerillo ne costituisce una possibile naturale ‘localizzazione’, un punto privilegiato di ‘atterraggio’, di tangenza, di sfioramento, trasformandosi cosí esso stesso in un terminus intermedio tra l’apparenza delle cose e il loro ‘in-esplorabile’ fondamento.
Faglia e soglia, orizzonte e punto, Smerillo è aria, acqua, luce, terra, cielo, roccia, bosco, fiori. Ma soprattutto – ed è il suo contrassegno – è ‘balcone’ aperto simultaneamente su una pluralità di segni mediani dell’invisibile (terminus terminorum): sull’immensità del mare e sulla misteriosità della montagna; sul sorgere del sole e sul suo tramontare; sul vento e sul silenzio; sul firmamento e sull’abisso; sulla “selva oscura” e sull’empireo; su ciò che è vicino e su ciò che è lontano; sulla storia e sul presente. Su ogni coordinata, insomma, che “la vista sconfina”, in concordanza di similia o in agonica contrapposizione di dissimilia. La stella polare lo cerca e lo visita a porta Nord, e il biancheggiare della Galassia intercetta, incrocia e incorona la sua dorsale da Est a Ovest. Con le sue arene e le sue conchiglie è oceano ancestrale e continente carico d’ere. È ‘u-topia’ e saggezza, mito e consistenza; partenza e arrivo.
Smerillo è locus amoenus e locus horridus, prettamente naturale e prettamente antropico; roccia della casa e casa della roccia. Nell’attuale contingenza post-moderna (o post-post-moderna), in cui alla ‘dis-organizzazione’, sfinita in algoritmo e svuotata di ogni spirito, si chiede di dannare l’uomo e la sua vita, l’antico borgo sibillino, in quanto borgo naturaliter poetico, irraggia un alone di contestazione e refrigerio, d’esposizione e di rifugio; d’eremo e di convivio, d’agorá e di ‘eu-topia’. Avanzando da ciò che sembra passato, per tornare a ciò che è sempre (d)al futuro. •
Nostalgia smerillese
Riscaldava l’autunno i suoi vivaci
giorni per altri giorni e altre vivande,
la grande rupe somigliava a un grande
fato rovente, e il bosco a mille braci.
Il rito del passaggio andò fugace,
e il mondo portò via senza domanda
noi che avevamo al petto piú tenace
di cuori infervorati una ghirlanda.
Scommettiamo, il primo sarò io!
La posta in gioco era la sconfitta
in quella gara ingenua e temeraria;
quel mondo evaporò in valute d’aria,
e oggi che il mio appetito non ha fretta,
un altro autunno aspetto, e te, piú adagio.