Papa Francesco commenta San Paolo
Sperare è imparare a vivere nell’attesa”. Come fa una donna incinta, che “ogni giorno impara a vivere nell’attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà”. O come il povero, che a differenza del ricco “sa attendere”: perché “chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso”. È la catechesi del Papa, dedicata oggi all’“elmo” della speranza, che spazza via la paura della morte e ci fa dire, come San Paolo e prima ancora come Giobbe: “Per sempre saremo con il Signore”.
“Noi cristiani siamo donne e uomini di speranza”, esordisce il Papa a braccio, rivolgendosi ai 6mila fedeli presenti in Aula Paolo VI. Il brano di riferimento è la lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, indirizzata ad “una comunità giovane, fondata da poco, eppure, nonostante le difficoltà e le tante prove, radicata nella fede”.
“Tutti abbiamo un po’ di paura della morte”, dice il Papa a braccio, che sempre fuori testo cita le parole di “un vecchietto, bravo, che diceva: ‘Io non ho paura della morte, ho un po’ di paura a vederla venire’”. La difficoltà della comunità di Tessalonica “non era tanto di riconoscere la risurrezione di Gesù – tutti ci credevano – ma di credere nella risurrezione dei morti”. Anche oggi, “ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte, o a quella di una persona cara, sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova. Emergono tutti i nostri dubbi, tutta la nostra fragilità, e ci chiediamo: ‘Davvero ci sarà la vita dopo la morte? Potrò ancora vedere e riabbracciare le persone che ho amato?’”. “Questa domanda me l’ha fatta una signora pochi giorni fa in un’udienza: incontrerò i miei?”, la testimonianza del Papa, secondo il quale “anche noi, nel contesto attuale, abbiamo bisogno di ritornare alla radice e alle fondamenta della nostra fede, così da prendere coscienza di quanto Dio ha operato per noi in Cristo Gesù. E cosa significa la nostra morte”.
“Avere la certezza che io sono in cammino verso qualcosa che è, non che io voglio che sia”.
È la definizione di speranza, offerta a braccio ai fedeli. “È un elmo. Ecco cos’è la speranza cristiana”. Non è “qualcosa di bello che desideriamo, ma che può realizzarsi oppure no; qualcosa che speriamo, come un desiderio”, come quando diciamo: “Speriamo che domani faccia bel tempo”. “La speranza cristiana non è così”, è “l’attesa di qualcosa che già è stato compiuto”. “C’è la porta, lì, e io spero di arrivare alla porta. Che cosa devo fare? Camminare verso la porta! Sono sicuro che arriverà alla porta”, l’esempio ancora fuori testo. “Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti – il commento di Francesco –non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo”.
“Sperare significa imparare a vivere nell’attesa”.
Lo ripete più volte, il Papa, nella
parte finale della catechesi. “Quando una donna si accorge che è incinta – spiega sempre fuori testo – ogni giorno impara a vivere nell’attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà”. “Anche noi dobbiamo imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore, di incontrare il Signore. Questo non è facile, ma si impara: vivere nell’attesa”. “Sperare significa e implica un cuore umile, un cuore povero”, precisa Francesco: “Solo un povero sa attendere. Chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso”.
“Una cosa che a me tocca tanto il cuore – rivela – è un’espressione di san Paolo, sempre rivolta ai Tessalonicesi: a me riempie della sicurezza della speranza. Dice così: ‘E così per sempre saremo con il Signore’”. “Una cosa bella!”, il commento di Francesco a braccio: “Tutto passa, ma dopo la morte per sempre saremo con il Signore. È la certezza totale della speranza, la stessa che, molto tempo prima, faceva esclamare a Giobbe: ‘Io so che il mio redentore è vivo. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno. E così per sempre saremo con il Signore’”. “Vi domando: credete questo?”, chiede il Papa ai presenti, concludendo la catechesi ancora una volta fuori testo: “Vi invito a dirlo tre volte con me”, l’esortazione a cui i 6mila dell’Aula Paolo VI prontamente obbediscono: “E così per sempre saremo con il Signore”. “E là, col Signore, ci incontreremo”, il congedo del Papa. •
M.Michela Nicolais