È la festa della gioia ritrovata e condivisa dopo la morte
La Pasqua, secondo le scritture, è la Risurrezione di Gesù, avvenuta il terzo giorno successivo la sua morte in croce. Pasqua, in aramaico “Pasha”, significa “rinascere” e quindi augurare buona Pasqua significa anche augurare una rinascita generale. Buona rinascita a chi è diverso, a chi soffre, a chi non ha affetto, a chi è privo di cibo, agli anziani soli, a chi fugge dalla guerra, agli ultimi che non vediamo o non vogliamo guardare. Pasqua sia allora passare oltre il conformismo e il consumismo per riscoprirci e riscoprire i veri valori dell’amore, della solidarietà, della condivisione. Non può esserci Pasqua da soli. È la Festa della gioia ritrovata dopo la morte e la gioia va condivisa perché sia contagiosa. Ma Pasqua, ancor oggi, intesa come? Durante la Settimana Santa, secondo i canoni della tradizione, si svolgono riti e rappresentazioni legati alla Passione e alla Resurrezione del Cristo un po’ ovunque. In alcuni luoghi le feste folcloristiche sono coinvolgenti anche se non sempre hanno matrice religiosa. Nelle zone del Piceno, ancora vengono messe in scena le rappresentazioni viventi oltre ad un susseguirsi di processioni, riti religiosi, feste popolari e spettacoli sacri. Figuranti di vari paesi scendono in piazza per celebrare il dramma Sacro della Passione e della Resurrezione del Cristo. Si raccontano e si rappresentano secoli di storia e nella notte del Venerdì Santo si accendono lumini che segnano di fioca luce le strade percorse da nutrite processioni. Ad Altidona centro, anni fa, si è svolta una processione della Passione in cui chi rappresentava il Cristo era a piedi nudi, irriconoscibile perché nascosto da una tunica rossa con tanto di cappuccio che proteggeva volto e identità. Oltre tutto, questo misterioso personaggio era stato legato con corde per essere trascinato lungo le viuzze del paese. Furono scelti percorsi non facili che riproducevano la via tortuosa e dura della Passione con l’intento di raccontare nella maniera più fedele possibile il sacrificio di Gesù. Ricordo l’atmosfera lugubre e e il silenzio greve e come la gente assisteva con partecipazione a questa dolorosa rappresentazione. L’attesa del giorno di Pasqua e successivamente il suono delle campane a festa hanno riportato al paese un tripudio di gioia e di ringraziamento del miracolo della Resurrezione di Cristo. Tornando ancor più indietro nel tempo, ricordo ancora la mattina di Pasqua a casa della nonna materna, a Montefiore dell’Aso, paese di origine. I profumi della torta pasqualina, del pane appena sfornato, della torta di formaggio, ci svegliavano mettendoci nel cuore la prima gioia della giornata. Ci si alzava presto e si trovava la tavola già apparecchiata con la bianca tovaglia ricamata. Non potevano mancare le uova sode colorate, le pizze, le ciambelle di Pasqua, il salame, l’acqua di fonte per i piccoli, il vino per gli adulti e il pane fatto in casa. Per la nonna la tradizione della colazione della mattina di Pasqua, era importante più del pranzo. Come dimenticare il profumo della frittata con la mentuccia e la corata d’agnello con la cipolla. Tante ricette tramandate di generazione in generazione. La ricetta della corata d’agnello della nonna la conservo ancora. Gli ingredienti sono semplici e tipici della nostra bella terra marchigiana.
Occorrono: una coratella di agnello, sale, pepe, due cipolle, vino bianco, olio di oliva, passato di pomodoro, un po’ di prezzemolo tritato. La coratella di agnello si lava ben bene in acqua corrente. La si asciuga con un panno da cucina e si taglia a pezzi. I vari organi della coratella si tengono separati. In una padella si mettono a soffriggere l’olio di oliva con due o tre cipolle grandi e affettate fini. Appena appassiscono si aggiungono i pezzi di coratella iniziando con il cuore, a seguire i rognoni, i budelli se ci sono, i polmoni ed infine il fegato e la milza. Si sala, si aggiunge un po’ di pepe e si versa poco dopo un bicchiere di vino bianco secco. Quando il vino evapora si aggiunge un po’ di passato di pomodoro e si continua la cottura a padella coperta per 15 minuti. Spegnere e distribuire un pizzico prezzemolo prima di impiattare.
Per chi invece non mangia carne e ama la tradizione, ottima è la pizza al formaggio.
Gli ingredienti facilmente reperibili: farina 400 g., latte mezzo bicchiere, uova 4, olio di semi mezzo bicchiere, parmigiano grattugiato 100g, pecorino romano grattugiato 100g, lievito per pizza 2 buste, sale 1 pizzico, pepe, formaggio a cubetti 100 g circa. Battere bene le uova con i formaggi grattugiati ed un po’ di pepe Aggiungere il latte e l’olio e sbattere di nuovo. Iniziare a versare la farina, con un cucchiaio per volta ed il lievito alla fine. Riempire del composto uno stampo stretto ed alto e preventivamente unto quanto basta. Immergere i cubetti di formaggio nell’impasto senza affondarli troppo ed infornare a 200° per i primi 25 minuti. Coprire con carta di alluminio e far cuocere per altri 35/40 minuti. Se si usa uno stampo basso e largo, cuocere a 200° per 35 minuti. Togliere la pizza dallo stampo solo quando sarà bene fredda per evitare che si rompa. E’ buonissima da sola oppure con gli affettati misti e qualche verdurina sotto olio.
Buona Pasqua e buona colazione ad ognuno, come tradizione vuole e comanda. •