Fertilizzanti eco-inconsapevoli efficaci e rispettosi della terra
Il letame, parola derivante dal latino laetamen, era la ricchezza, perché procurava abbondanza di messi. Il termine rimanda all’aggettivo laetus – ricco; ager laetus pabuli, campo ricco di pascoli. Non è uno sfoggio di cultura. Il confronto con lo stabièl del dialetto brianzolo è l’occasione per riaffermare radici comuni.
Era un lavoro svolto tutto a forza di braccia, con forconi e ramponi, quello della concimazione, prima che apparisse il più moderno spandi letame, costituito da un cassone montato su un telaio a ruote, sul fondo del quale, un apposito nastro porta lo stabbio verso la parte posteriore della macchina, facendolo cadere sul terreno. La sistemazione, la raccolta dello stallatico, lu grascià delle nostre parti, la moda de ro nella cascina brianzola, richiedeva un’attenzione particolare; perché il letame arrivasse ad una stagionatura perfetta, pronto per l’uso, lo si ricopriva nel corso dell’anno con un po’ di terra che impediva l’infiltrazione d’acqua e permetteva una fermentazione maggiore. Lu grascià, termine derivante dal latino crassus, grasso, era costituito da più strati sovrapposti e quelli più bassi contenevano il letame migliore, fumante quando veniva infilzato dal forcone e sistemato sul biroccio o biroccetta per essere portato nei campi. Il cambio della lettiera nelle stalle avveniva due volte al giorno, una al mattino presto, l’altra alla sera. La paglia impregnata di sterco e di urine, veniva tolta, caricata sulla cariola e portata nella concimaia dove si provvedeva a sistemare il tutto in modo ordinato, ricoprendo il letame con manciate di terra, prelevata con la pala. Le urine, nella cascina brianzola, venivano raccolte nella bunza, una grossa botte dalla pancia capiente che, caricata sul carro, prendeva la via dei campi. Si dava il caso che a volte, cavallo, carro e contadino, il paisàn attraversassero per un motivo qualsiasi, parte delle strade del centro dei paesi e la bunza lasciava cadere, lungo il percorso, parte del contenuto, disegnando rigagnoli maleodoranti. Tutto questo avveniva lassù agli inizi degli anni cinquanta, quando i paesi crescevano a dismisura sotto la spinta demografica locale, ma anche per l’arrivo degli immigrati dal Sud o dal Veneto. Le costruzioni edilizie ad uso industriale ed abitativo aumentavano in un batter d’occhio. La campagna e la cascina venivano soffocate da una urbanizzazione selvaggia e rimanevano soltanto esemplari isolati della cultura rurale di un tempo.
Da noi invece, il cambiamento, se mai c’è stato, è un ricordo assai più vicino. La campagna c’è ancora e come cosa ben distinta dalla città. Il letame non viene più sparso per i campi a forza di braccia o non viene sparso affatto perché non ci sono più né stalle né mucche. Il carro agricolo il biroccio non passa più “tra le viti e gli olmi”, trainato dalle vacche. Il forcone ricurvo, che serviva per tirar giù lo stabbio dal carro, è confinato in un qualche museo delle tradizioni ed arti popolari.
È il fertilizzante chimico a farla da padrone, concime che, se dato in quantità eccessive, causa l’inquinamento delle falde idriche.
Non so se esistano più i contadini nelle nostre campagne e se quelli che lavorano la terra possono essere meglio chiamati industriali terrieri che, rispetto ai contadini di una volta, hanno obiettivi diametralmente opposti.
“I contadini purtroppo non fanno uso oculato di sostanze”. Contadini ignoranti dunque.
“Chi di gallina nasce, terra ruspa”. È il ritornello di sempre. Il grado della civiltà contadina è assai lontano da quella cittadina. No! Questa non è informazione; per lo meno, chi scriveva queste cose doveva chiedersi se l’onestà e l’ingenuità nella pratica agricola dei contadini di una volta siano state sostituite da altro che non ha nulla da spartire con il paesaggio agrario di cinquant’anni fa, con le culture di allora e con un tipo di agricoltura che sapeva solo di economia familiare. Si produceva solo quello che serviva per soddisfare i bisogni elementari della sopravvivenza. Oggi, tutto questo è scomparso. Da un lato è un bene, ma dall’altro è anche un male. Il progresso nasconde sempre un prezzo da pagare. L’onestà e l’ingenuità di un tempo non pagavano più. •