A dieci anni dalla morte, don Ettore ispira ancora l’Unitalsi
“Se noi ricordiamo come nel volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre Celeste… il nostro umanesimo si fa cristianesimo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo”.
(Chiusura del Concilio)
In don Ettore mi è sembrato sempre di vedere, e ancor più intravvedere, la verità e la profondità di questa sintesi. Per la sua vita interiore, per il suo sacerdozio, per la sua esigenza struggente di Dio. Ed anche, autorevolmente e costantemente, per la sua presenza nell’Unitalsi, chiamata a vedere nel prossimo, il più debole, quasi in trasparenza, il volto di Dio. E servirlo è come inginocchiarsi dinnanzi all’Eucarestia ed adorare. Di qui, non amore pietistico e sentimentale, non servizio efficientistico e per sé rassicurante, ma “esserci” – con tutti – nella forma più interiorizzata, serena, comunionale. Senza l’autenticità evangelica delle motivazioni, per don Ettore l’Unitalsi scompariva per essere altro, per morire essiccandosi interiormente.
“Per noi la soluzione è l’amore, non l’amore debole e retorico, ma l’amore che Cristo nell’Eucarestia ci insegna. L’amore che si dona, l’amore moltiplica, l’amore che si sacrifica”. Così il beato Paolo VI, che don Ettore meditava e venerava, così proprio il priore di San Michele Arcangelo e assistente diocesano dell’Unitalsi. Così, sempre.
Una sola fedeltà, attraverso la vita tutta intera. Nell’oscurità dei gesti, nella sapienza del cuore. Nella preghiera che non è formula, ma abbandono, dono come esigenza d’amore.
Si comprende bene perché sul suo scrittoio fosse sempre presente l’immagine di Padre Charles de Foucauld e come si sprigionasse dal letto del dolore il profumo del “Donarmi”, del “rimettere la mia anima, nelle Tue mani”.
Comprendo perché, spesso, prima di comunicarmi, nella stanza silenziosa del dolore, le sue condizioni di salute, mi chiedesse di incontrare la sua assistente per vedere se era serena o se aveva un cruccio, e quale. Prima il prossimo.
La premura umana, ricca di gratitudine e di speranza, innanzitutto.
“Paolo, al vicolo … numero… c’è una signora sola, povera, malata. Io non posso andare più, mando qualcuno. Come sarebbe significativa la presenza di un unitalsiano”.
Il giorno dopo lo rassicurai: due prudenti miti e umili unitalsiani erano in compagnia della signora sola e malata. Se Lazzaro è alla porta, l’uscio di via Bertacchini 4 non è mai chiuso. L’uscio, il cuore del priore, il cestino in cucina, … il consiglio. E poi, la consolazione, la confessione, l’orientamento vocazionale. Lui, don Ettore.
“Mettetevi davanti al povero Lazzaro che soffre la fame e la miseria. Fatevi suo prossimo affinché riconosca nel vostro sguardo, lo sguardo del Cristo che l’accoglie e nelle vostre mani riconosca le mani del Signore che distribuisce i suoi doni”. (Paolo VI)
Ogni Lazzaro “mendicante” era accolto: mendicanti del consiglio, del perdono, della Parola, dell’Eucarestia, … del sostegno nella vocazione.
“Don Ettore, posso avere l’Eucarestia?” (in orari strani). Il volto del sacerdote si illumina, prontezza ma non fretta. Ha bisogno di prepararsi anche lui. Anche nella “veste”. Bisogno di “attesa”, per un evento grande.
Felice, quando gli partecipai l’intuizione di indicare, per il pellegrinaggio Unitalsi a Loreto, turni di adorazione eucaristica tra le sorelle e i fratelli che rendevano servizio nella stessa corsia, nello stesso turno. Servizio e adorazione. Unità imprescindibile. “Adoratori del Mistero, servi nella Carità. Non manovalanza”.
“Paolo, hai rinnovato l’Associazione… lavori troppo… dopo di te?… Non vedo…”.
“Don Ettore, non si fa mai abbastanza. La provvidenza…”
“Concretezza!…” e un segreto monito.
E sempre, prima di partire per il pellegrinaggio – anzi per tempo – mi chiedeva se avessi implorato preghiere presso i Monasteri. Essenziale per lui, fu essenziale anche per me.
Quando, a sera, lasciavamo la sede dell’Unitalsi (in casa sua), don Ettore ci salutava sempre con un “custoditevi”. Quando rimanevamo a notte inoltrata, non gli sfuggiva di ringraziarci donandoci la “buonanotte”. Quando lasciavamo la sede alla vigilia del pellegrinaggio, sempre ci accompagnava alla porta, ci apriva l’uscio e… “Dio vi benedica! Buon pellegrinaggio!”.
Ci insegnava che si è unitalsiani se si è pellegrini nella vita quotidiana. Non solo certo nella quotidianità, anche nei luoghi di particolare rivelazione del “Mistero”: la casa del fiat, la grotta…
Preghiera, servizio sollecito e riservato, adorazione, venerazione delle carni piagate. È Vangelo.
Il Vangelo proclamato, commentato con l’autorevolezza del monaco-parroco, con il discepolato interiore a Padre de Foucauld, con l’anelito forte ispirato dal venerato Paolo VI, ha costituito in San Michele Arcangelo il momento forse più qualificato della presenza del Priore: meditativo, profondo, nuovo, profeta, testimone.
Chiesa in cammino, in dialogo con il mondo, che vive la gratuità del dono. Chiesa del Concilio vissuto e applicato.
Omelia del Natale 1984: «Non basta essere “per”: raccogliere il segno della nascita di Gesù vuol dire anche entrare nell’animo, nelle sofferenze dei fratelli, vuol dire partecipare in una sorta di comunione che si allarga a livello universale, perché la massima parte dell’umanità è in stato di povertà, in stato di bisogno, in stato di sottosviluppo. Dobbiamo essere “con” coloro che soffrono e a seconda delle vocazioni e delle diverse grazie che Dio concede alla sua chiesa, dobbiamo condividere le condizioni di esistenza per capire veramente, per sentirne l’intollerabilità, per essere stimolati ad un’azione efficace di promozione e vicinanza».
Giovedì Santo 1982: «L’avere parte con Cristo non significa altro che condivisione del suo stesso itinerario di totale disponibilità ai fratelli».
In sintonia con Paolo VI che nel settembre 1963 dichiarava: «Tutti questi poveri appartengono alla Chiesa per “diritto evangelico”. È perché la chiesa dall’alba di Pasqua non ha smesso di ricevere il vangelo del Risorto che essa può annunciare il vangelo al mondo» (Il vangelo celebrato).
Da un biglietto che mi donò con naturalezza paterna: «L’esigenza che l’amore non si fermi all’uomo, fosse pure il più miserabile, il più bisognoso d’amore, è ciò che distingue l’amore cristiano da ogni forma di umanitarismo puramente terreno. È un amore diretto a Dio attraverso il fratello: Dio in sé e Dio per noi in Cristo e nella chiesa. E non può essere che così, perché l’amore divino, l’amore che viene da Dio, è infinito, e perciò deve estendersi fino a Dio stesso…» (H.U. Von Balthasar).
Possibile sintesi della straordinaria personalità di don Ettore, da dieci anni in contemplazione diretta della Santissima Trinità. •
Paolo Ciarrocchi