Il grembo della Chiesa

Stampa l articolo
L’arcivescovo, scherzando, a volte ci ha ripetuto che un uomo, superati i quarant’anni, o ha un figlio o scrive un libro. Egli ha esercitato la sua fecondità di pastore anche lasciandoci questo testo dove si condensa la sua esperienza di presbitero, parroco, rettore del Seminario, Vescovo e padre nella fede. Richiamo alcuni aspetti salienti di questo testo.
Il primo è il rilancio della Chiesa come comunità eucaristica, il riferimento alla Chiesa come si è riscoperta e ripensata nel Concilio Vaticano II riattingendo alle origini. Si giunge alla comunità cristiana grazie ad un percorso di condivisione e di annuncio del Vangelo (Plantatio Caritatis Christi e Plantatio Caritatis, Plantatio Evangelii, Fractio Panis e Plantatio Ecclesiae, Plantatio Caritatis e Plantatio Caritatis Ecclesiae), la comunità cristiana diventa a sua volta un popolo in cammino che offre la Carità del Vangelo.
La Chiesa che nasce dall’Eucaristia è tutta ministeriale: in ascolto della Parola e dei bisogni di un territorio sa promuovere e valorizzare i carismi che lo Spirito suscita per il servizio al Vangelo e all’uomo di ogni tempo. Questa comunità ha un grembo sempre fecondo di tutte le vocazioni necessarie perché esiste per servire e spinge a servire.
Il secondo aspetto riguarda poi la formazione data in Seminario ai candidati al presbiterato. Il tempo che viviamo chiede una urgente revisione dei percorsi formativi. Bisogna prendere atto che oggi la formazione non può ridursi ad una acquisizione di contenuti teologici o competenze specifiche per l’esercizio del ministero. Tenendo fermi i quattro cardini già indicati da S. Giovanni Paolo II (umana, spirituale, teologica, pastorale), non bisogna nei seminaristi, vocazioni anche adulte provenienti da esperienze più disparate, dare per scontata la fede. Bisogna offrire un percorso di iniziazione alla sequela di Gesù e di discernimento in vista del ministero, con tappe e verifiche, avendo come punti fermi il primato della Parola e la centralità dell’Eucaristia.
In terzo luogo, per chi è già presbitero, Mons. Conti pone una domanda: Quis custodiet custodem?, chi si prende cura di chi, presbitero, è chiamato a prendersi cura degli altri fratelli e sorelle nella fede? È il popolo di Dio nella sua globalità, nel popolo di Dio è la famiglia del presbiterio. Oltre i vari ambiti di premura pastorale, oggi diventa necessaria più che mai una pastorale presbiteriale, un aver cura della persona di ogni presbitero e una sollecitudine nel fare presbiterio. La comunione tra presbiteri e tra presbiteri e coniugi è l’urgenza da cui ripartire per annunciare il Vangelo in questo tempo con una esistenza bella e gioiosa. •

Rispondi