Una nuova epidemia che nessuno vuol contrastare

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Falerone: 1770 euro la spesa pro capite in giochi di azzardo

Un business, una malattia, una lavatrice di denaro per criminalità organizzata e non solo, la causa di innumerevoli situazioni di povertà: tutto questo è il gioco d’azzardo. In tutte le sue forme, dalla slot-machine al gratta e vinci. Dalla “bolletta” o “legata” snai, fino alla più classica bisca, da qualche tempo quasi legalizzata grazie alla sempre crescente popolarità del Texas hold’em, una variante del poker che permette anche di giocare con soldi veri in una modalità denominata cash, dove le singole puntate possono raggiungere anche svariate centinaia di euro.
I dati che emergono sul fenomeno sono quanto mai allarmanti. L’Italia risulta infatti essere il terzo paese al mondo, e il primo in Europa, per volume di gioco d’affari. Solo nel 2016 gli italiani hanno speso in gratta e vinci e slot machines 96 miliardi di euro. A tale dato vanno aggiunte anche le giocate online che sono difficilmente conteggiabili, ma che di sicuro alzano ulteriormente il “fatturato” di questa piaga sociale.
Le agenzie di scommesse, insieme allo Stato ovviamente, sono le uniche a trarre beneficio da questo scempio. La dimostrazione di ciò è data dalle nuove aperture di sale slot in territori a bassa densità abitativa come i nostri. Basta infatti percorrere una qualsiasi statale per notare come le sale scommesse siano molto più diffuse delle farmacie. Tale fenomeno ha dato vita ad una vera e propria costituzione di “Comuni casino”; ossia comuni dove per ogni abitante vengono scommessi fino a 2000 euro. E stiamo parlando di piccoli centri dell’entroterra marchigiano, non di Venezia o Campione d’Italia, dove i dati possono essere falsati dall’affluenza di turisti italiani o stranieri non residenti in quel dato municipio.
Per fare alcuni esempi, la spesa pro capite per il gioco d’azzardo nel comune di Fermo è di circa 500 euro ad abitante. 1770 nel comune di Falerone. In quello di Montegiorgio 1631. Quasi due stipendi. Una vera e propria tassa. Tali cifre, poi, non tengono conto delle giocate su eventi sportivi o dello spettacolo, ma vengono conteggiate solamente le giocate sulle slot-machines AWP e VLT. In Italia il rapporto abitanti slot è di 143 a 1, ciò significa che nella sola regione Marche ce ne sono circa 10mila.
Per conoscenza personale posso affermare che le giocate su eventi sportivi non sono di molto inferiori alle giocate su apparecchi slot. L’unica differenza sono le probabilità di vincita. Nelle scommesse su eventi dovrebbero essere legate alle prestazioni degli atleti o alle performances canore o interpretative (si possono infatti effettuare scommesse su manifestazioni canore come Sanremo, eventi politici come elezioni o referendum, vittoria agli oscar. Nelle slot la percentuale di denaro erogata, invece, è una percentuale, variabile dal 50% al 70%, di quella immessa nella macchina. Ciò significa che ogni 10 euro se ne vincono dai 5 ai 7. Ciò però non sembra scoraggiare i giocatori. Anzi, l’idea di una vincita suggestiona ed abbindola sempre più persone, senza distinzione di reddito ne di status sociale.
Il profilo del giocatore medio non ha uno stereotipo ben definito.
Nell’immaginario collettivo possono subito tornare in mente Er Pomata e Mandrake, che nel capolavoro di Stefano Vanzina ben rappresentavano, in situazioni tragicomiche, due giocatori di cavalli incalliti che escogitavano trucchi e stratagemmi al solo fine di racimolare qualche soldo per scommettere.
Ad oggi, però, il profilo del giocatore tipo non risulta essere facilmente individuabile. Ciò probabilmente a causa della trasversalità sociale con cui tale fenomeno si sta facendo spazio nella popolazione. Dai 18 anni in su tutti giocano. Uomini, donne, ricchi, poveri, operai, imprenditori, artigiani, insegnati, impiegati, disoccupati.
Tutte le classi sociali sono coinvolte, ed in maniera crescente.
Lo testimoniano anche i numeri. Secondo recenti studi, 30 milioni di italiani hanno scommesso almeno un euro in gratta e vinci o slot, e di questi si stima che tra i 4 ed i 5 milioni di cittadini italiani giochino somme considerate “importanti” rispetto alle loro possibilità economiche. Nel 2017, le persone seguite da strutture specializzate per la cura del gioco d’azzardo si aggirano intorno alle 200mila. Numeri impressionanti, simili a quelli di un’epidemia. Se però, nei confronti delle epidemie batteriologiche c’è la volontà di tutti di arginarle e di debellarle, in quello delle ludopatie c’è, invece, la tendenza è di favorirla. Si stimano intorno ai 25 miliardi annui gli introiti diretti dello Stato, che, di conseguenza, ha pochissimo interesse a contrastare la diffusione delle agenzie di scommesse.
È impensabile, quindi, che possa giungere dallo Stato la spinta decisiva ad arrestare o quantomeno arginare tale fenomeno.
Finora l’unica istituzione che ha cercato seriamente di contrastare tale scempio è stata la Regione Umbria. Dallo scorso settembre ha intrapreso una campagna di sensibilizzazione, prevenzione, lotta integrata al gioco, favorendo i comportamenti virtuosi, come ad esempio sgravi fiscali per chi decide di rimuovere le slot dal proprio locale, fornendo alternative come attività sportive, ludiche o video-ludiche.
E soprattutto facendo prevenzione attraverso l’educazione.
Oltre al caso umbro, rarissimi sono i casi in cui un’istituzione intraprende attività di “lotta”, se così la si può chiamare, nei confronti del gioco d’azzardo legalizzato.
Le uniche iniziative che si segnalano, o che comunque vengono portate avanti quotidianamente, sono quelle individuali o di associazioni spontanee che tentano di sensibilizzare la popolazione facendo luce sul problema.
Sono pochi, ma ci sono, i bar che decidono di togliere, rinunciando anche ad importanti profitti dal 5% al 7,8% delle giocate, le slot a seguito delle numerose storie di persone cadute in disgrazia a causa del gioco. •

Daniele Chiacchiera

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