Padre Gabriele si è chiesto e ci ha chiesto: “Cosa mi impedisce di rallegrarmi? Posso dirmi di essere nella gioia? Chi può dirsi pienamente contento della propria storia?”. Prendendo le mosse dal racconto del Padre buono, raccontato da Luca al capitolo 15 il relatore ha fatto notare che si chiede di “Far festa per il fratello che era morto ed è tornato in vita, era perduto e si è ritrovato”.
Cosa viene chiesto allora?
1) Di essere esperti in fragilità. Solo se comprendo la mia fragilità posso aprirmi alla comunione.
2) Mettersi alla scuola del Padre per imparare a vivere comportamenti che non seguono logiche umane, ma logiche divine. Solo così si può obbedire alla propria storia, amarla e rallegrarsene. Ambedue i figli della parabola, infatti, non si rallegrano dell’amore del Padre. Ognuno rivendica il suo pezzetto di eredità. Ma è necessario per non autodistruggersi capire che la vita non consiste nel prendere, ma nel ricevere. “Facciamo fatica a ricevere – ha detto padre Gabriele – perché abbiamo la presunzione di farci da soli”.
Ci sono tante situazioni in cui viviamo l’ostilità, l’inimicizia, l’impossibilità di far festa con il fratello. Ed allora il primo passo per far festa è quello di purificare la memoria. Ciò non vuol dire passare un colpo di spugna, ma scegliere di perdonare “70 volte sette”. Il perdono è una scelta. Il rancore è un sentimento che si riaccende spesso. Ed è allora necessario ri-scegliere il perdono.
Poi ha citato Il corpo spezzato di Jean Vanier: «Amare è aprire il proprio cuore agli altri, ascoltarli, apprezzarli, vedere la loro bellezza e il loro valore, desiderare profondamente che vivano e crescano. Amare è dare la nostra vita per gli altri. È perdonare ed essere compassionevoli. Ma da soli non possiamo amare in questo modo. Per questo Gesù ci dice che è venuto per togliere la paura che ci chiude in noi stessi e nel gruppo dissimulando la nostra vulnerabilità e il nostro isolamento. È la vocazione di tutti: vivere in comunione gli uni con gli altri, vivere relazioni vere e piene di amore, essere costruttori di pace e di riconciliazione. Quando noi escludiamo dal nostro mondo anche un solo essere, perché diverso, perché nemico, l’unità si spezza e noi rimaniamo spezzati in noi stessi».
Padre Gabriele ha terminato l’incontro facendoci rimanere a bocca aperta con la lettura dei numeri 234-236 dei Fioretti Francescani
A frate N… ministro. Il Signore ti benedica!
Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia.
E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori.
[235] E questo sia per te più che stare appartato in un eremo. E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.
[236] E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così.
Nel pomeriggio alle ore 15.30 Padre Gabriele ha ripreso il discorso del mattino sviluppando il tema: La relazione come trasparenza di Dio. Ha preso il via dal vangelo di Giovanni al capitolo 15: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”.
L’amore è la carta d’identità del cristiano: “Vi riconosceranno da come vi amerete”.
Questo amore dunque parte dal Padre e conduce ad amare l’altro senza condizioni. È solo questo il modo di essere trasparenti. Quali sono allora i tratti di una personalità che rende visibile la presenza di Dio?
1) Capacità di ascolto
2) Capacità di mettersi in discussione
3) Capacità di mitezza
4) Capacità di tenerezza
5) Capacità di sostenere la solitudine
6) Coraggio di lasciarsi aiutare
7) Attenzione ai dettagli quotidiani.
“Mi ha colpito molto un aspetto della parabola del Padre Misericordioso sottolineato da Padre Gabriele. -Annota Marco Z. – Il figlio minore, lontano dal padre, legge con realismo la propria situazione e capisce la vita consiste nel ricevere. Gli manca qualcuno con cui condividere. Non trova nessuno disposto neanche a dargli le carrube dei porci. Egli, abituato ad appropriarsi come aveva fatto con l’eredità paterna, compie una grande scoperta. E decide di ritornare a casa, anche se ancora non conosce in profondità il padre. È proprio vero: capire che la vita è prima di tutto un ricevere consiste nel primo passo per (ri)avvicinarsi a Dio. La vita stessa è un dono che non ci siamo fatti da soli. E molto spesso lo dimentichiamo. Dare priorità al ricevere vuol dire accettare di essere limitati e quindi dipende da qualcun altro. È un grande atto di umità che aiuta a superare la nostra mania di grandezza. La domanda che sorge allora è: da chi dipendiamo? Chi regge la nostra vita? Chi ci sostiene?”.
“Molto mi ha colpito la domanda: posso vivere nella gioia? – scrive fra Andrea. – Non è facile dare una risposta sempre affermativa, anzi. Però è vero che lo Spirito Santo aiuta a vivere con consapevolezza la presenza di Dio e sentire lo sguardo fisso di Gesù su di me. Posso dire che ho sempre cercato di ricordare a me stesso: Non sei solo. Gesù cammina con te anche quando irrompono sentimenti contrari”.
“Nella parabola del Padre misericordioso – è Gionatha che scrive – si evidenzia che entrambi i due figli non conoscono l’amore del padre. Il padre ama, perdona, ridà dignità, chiede di far festa. Sembra avere un comportamento illogico. Ma è un padre alla scuola del quale dobbiamo imparare. Essendo consapevoli della nostra fragilità dovremmo imparare a perdonare 70 volte 7.
Perdonare è una scelta, un atto di volontà, anche se i sentimenti di rabbia sono difficili da eliminare dentro di noi. Solo essendo consapevoli della nostra fragilità possiamo avere compassione per l’altro. Le nostre relazioni devono sempre più diventare trasparenza di Dio. ‘Amare gli altri perché Dio mi ha amato per primo’. All’umanità del prete è affidato tanto, deve diventare sempre più mediazione quotidiana dei beni salvifici del Regno. È chiamato non a giocare con la propria vita ma a giocarsi la vita. Deve avere la capacità di mettersi in discussione e affrontare ogni giorno le proprie debolezza lasciandosi correggere dalla Parola di Dio e dal popolo di Dio”.
«La parabola del figlio prodigo – riferisce Jackson – offre miriadi di spunti di riflessione. Oggi uno particolarmente ha colpito le corde del mio cuore: quello del perdono nei confronti di noi stessi.
Tutti noi, più o meno consapevolmente, facciamo danni, offendiamo, umiliamo il nostro prossimo. Ma nello stesso momento dobbiamo essere consapevoli che possiamo perdonare il nostro prossimo chiedendo a Dio la grazia perché non è cosa facile. Dio però ci ha già amato per primo, ci ha perdonato già. Purtroppo la predicazione cristiana ha insistito troppo sul sottolineare ciò che noi facciamo per Dio, sul dovere di amare Dio. La rivelazione biblica però dà la precedenza all’amore di Dio per ogni singola persona. Ciò che vedo più importante è allora non dunque l’amore che l’umo dà a Dio, ma che Dio ama l’uomo e lo ama per primo. “In principio era l’amore, l’amore era presso Dio e l’amore era Dio (1Gv4,10)”».
Francesco ha insistito sulle relazioni mature che sono trasparenza di Dio. “La maturità umana del prete e del consacrato deve diventare sempre più mediazione quotidiana dei beni salvifici del Regno. Il prete allora deve essere trasparente, una mediazione che non frappone ostacolo, ma che consente il più possibile un passaggio della grazia da Dio all’uomo. È esattamente questa trasparenza che rende la persona del presbitero consistente, consistente con ciò che (o con Chi) deve annunciare. A questa consistenza è connessa l’efficacia del suo ministero, da non confondere con l’efficienza, che invece è legata al possesso di competenze e abilità varie per svolgere il ministero”.
L’ultimo giorno degli esercizi è iniziato con le lodi e l’eucaristia. Alle ore 9, padre Gabriele, seguendo una lettera di Renè Voillaume ha impostato la sua riflessione sulla “Seconda chiamata”.
Nel vangelo infatti non c’è una conclusione, ma una ripartenza. Con il tempo può accadere che si insinui nell’animo del consacrato un senso di compromesso tra l’amore di Dio e le proprie esigenze, tra la radicalità evangelica e le proprie pretese. La vita si gioca su questo bivio. In questo caso occorre ricordarsi che “Niente è impossibile a Dio”. Si deve vivere per l’impossibile. Il possibile è troppo scontato. Per vivere l’impossibile sono tre le tappe da superare.
1) Una passione a “prima vista”. La prima tappa cioè il non aver fatto esperienze di impossibilità. Si sperimenta una corrispondenza tra la nostra vita e la chiamata di Gesù a lasciare tutto e a seguirlo.
2) Una passione consapevole. La seconda tappa inizia in modo lento. A poco a poco le cose cominciano a cambiare in modo inesorabile. L’entusiasmo lascia il posto ad una specie di insensibilità per le cose soprannaturali, il Signore ci sembra via via sempre più lontano. La preghiera comincia a pesare, la castità comincia a presentare difficoltà, la povertà diventa pesante… tutto diventa impossibile. Gesù ce lo aveva detto: umanamente ora Lui è assente dalla nostra vita. È in questa seconda tappa che si scoprono le condizioni per una nuova partenza.
3) Una passione scelta. È il momento in cui, in piedi, sulla superficie agitata del mare, si comincia a sprofondare perché abbiamo paura. Ma paura di che? non è forse per ordine di Gesù che abbiamo cominciato a camminare in queste condizione?
Per vivere questa terza tappa serve fede, scoprire che Gesù ha detto la verità quando ha affermato che “questo è possibile a Dio”.
Gli esercizi si sono conclusi con un pellegrinaggio a piedi al santuario della Madonna della Consolazione a Montemisio. Si colloca su un ripiano alle falde del Monte dell’Ascensione, in comune di Rotella (AP) e lo si raggiunge per una stradina comunale asfaltata che si stacca dalla provinciale che conduce da Castignano a Rotella.
C’è una bella quercia davanti al santuario, oggi terremotato. La Quercia, di circa 400 anni di età e m. 4,80 di circonferenza di tronco, è l’ultima superstite di un bosco che esisteva prima che esso venisse completamente smantellato per ricavare traversine per la Ferrovia Adriatica.
“A conclusione di questi giorni di esercizi spirituali mi chiedo – annota Andrea – chi è il seguace di Gesù oggi? chi è, potremmo dire, il prete oggi? È colui che reca un messaggio, non solo sulla porpira bocca, ma soprattutto sulla propria pelle. Con le sue ombre che non provengono dall’esterno, ma dall’interno. Che fissa lo sguardo sugli altri, non su se stesso. È consapevole che Dio mai stacca gli occhi da lui. È colui che punta il dito, ma non contro gli altri, né per indicare se stesso, ma come un timoniere, nell’infuriare della tempesta, indica la rotta, il porto sicuro. È colui che indossa lunghe vesti le quali, come bende fasciano le ferite della propria eunichia, sigillo impresso da Dio sul suo corpo. È colui che è dotato di ali, ma non sa volare e quando cammina spesso inciampa. Le ali però sono lì, dietro di lui, lo avvolgono, lo custodiscono e lo proteggono dai pericoli… dagli altri… e a volte da se stesso”.•
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