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Ogni strada ora è periferia

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Lavoro, ripartiamo dalle persone.

Ci siamo di nuovo! Avevamo la speranza, forse l’illusione, che il virus non si sarebbe diffuso come prima, invece siamo di nuovo nell’emergenza. Cosa cambia in confronto alla situazione di tre mesi fa?
Nel mezzo del lockdown è stato proposto online un questionario, realizzato da Caritas, Ufficio Pastorale del lavoro e Policoro in collaborazione con le Acli “Le comunità e il COVID”. Esso ci ha permesso di effettuare una lettura articolata della nostra società per rilevarne i bisogni, le paure, i disagi economici e psicologici, le povertà correlate al periodo attuale. Dalla lettura dei dati è emersa preponderante la paura di perdere il lavoro, di diventare improvvisamente poveri e soprattutto di dover affrontare le problematiche da soli. Durante questo tempo di passaggio da un lockdown ad un altro, come possiamo notare dalla protesta delle piazze di questi giorni, si constata come il senso di disagio e di paura si era solo assopito; c’era la speranza ed il coraggio di poter ancora intraprendere, forse anche la speranza che l’altra ondata non ci sarebbe stata o almeno non così forte come sta avvenendo. Ora le paure evidenziate diventano realtà, i settori lavorativi più colpiti, già allo stremo, faticano a riprendere e molti non riprenderanno con la conseguente perdita di posti di lavoro.
Preoccupa l’impossibilità per alcune famiglie di mettere un pasto a tavola, di avere le cure necessarie, di poter pagare affitti e bollette ma soprattutto preoccupa il senso di sconforto in cui cadono, la vergogna di dover chiedere unita alla consapevolezza della difficoltà di trovare un lavoro. Agli sportelli diocesani e parrocchiali, alle Caritas le persone arrivano non solo per il cibo e gli abiti, ma anche per raccontare le loro vite e per chiedere lavoro.
È il grido dei poveri di cui parla Papa Francesco nella “Laudato sì”; ai vecchi poveri si aggiungono ogni giorno nuovi poveri, soli, disorientati. L’immagine di chi negli ospedali, durante il decorso della malattia è solo, può essere assunta come simbolo della solitudine che si trova nei meandri della vita delle nostre città. Non occorre andare nelle periferie, ormai ogni strada è periferia. Il Covid è stato l’occasione perché tutto emergesse e si evidenziasse, vecchie e nuove ferite che si sono sovrapposte. Finora, come evidenziato nel Convegno “La spiritualità della terra” tenutosi il 4 Ottobre a Penna San Giovanni, abbiamo vissuto mettendo in contrapposizione fatti e valori, essere e dover essere, tecnica e politica, scienze naturali e scienze sociali…; abbiamo considerato che il progresso risponda solo alle ragioni dell’economia, che senza capitalismo non c’è progresso. Il risultato è una economia che produce “scarti”: viene scartato chi nella vita ha già accumulato tanta esperienza lavorativa, viene scartato chi ancora non ha acquisito competenze; è stato monetizzato anche il tempo di passaggio necessario per accompagnare chi ancora deve imparare.
La comunità deve essere consapevole che ogni lavoratore non è semplicemente una “risorsa” come oggi va di moda dire, ma è una persona, portatrice di valori e doni e con gli stessi diritti/doveri degli altri. La pianificazione del lavoro deve partire dalle persone e dai loro bisogni. C’è bisogno di una economia locale di sussistenza, l’unica alternativa alla povertà è l’economia popolare: partire dal basso non significa negare il progresso, le nuove tecnologie, ma necessita di uno studio profondo per ridefinire di quali beni e di quali servizi un territorio ha bisogno. C’è l’esigenza di riqualificare i territori, valorizzare l’artigianato, l’arte e la cultura dei luoghi, pensare ad un turismo di accoglienza, rispondere ai bisogni dei più piccoli, di chi sta male o è anziano, ripristinare le sovranità alimentari, decidere cosa e quanto vogliamo produrre. Si deve prendere in seria considerazione l’economia circolare che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. Bisogna valorizzare i piccoli produttori, basarsi sulle reti sociali, costruire patti di solidarietà tra istituzioni, associazioni di categoria, imprenditori, associazioni laicali ed ecclesiali, lavoratori e scuole. Queste sono le premesse per una economia solidale, che risponde a motivazioni etiche e spirituali degli imprenditori che sentono il bisogno impellente di avere un rapporto di armonia ed empatia con i propri collaboratori e con la comunità in cui operano. •

Anna Rossi

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