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Nascita e morte del fratello

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Ritiro di Quaresima per i Salesiani Cooperatori – Ispettoria Adriatica. Il codice fraterno nell’Enciclica “Fratelli Tutti”.

“La chiesa è interpellata da questo richiamo: è ora il momento favorevole, perché i discepoli di Cristo, abbandonata ogni logica di potere e di grandezza, nella consapevolezza di essere figli e figlie dell’unico padre, costruiscano relazioni fraterne che rendano il Risorto presente al mondo” (Mt. 18). Mussulmani, Ebrei, Cristiani hanno in Abramo un unico padre. In tempo di Covid più che alle parole dobbiamo dare spazio alle azioni. Se non si realizza questa fraternità universale è la morte di tutti. Papa Francesco lo dice chiaramente nei capitoli 32 – 37 dell’Enciclica sociale “Fratelli Tutti”. È il taglio dato al primo incontro trasmesso, dalle ore 15,30, in diretta streaming su YouTube, domenica 7 marzo 2021, da don Francesco Marcoccio, vicario dell’ispettore dell’Italia Centrale e delegato della Famiglia Salesiana, che ha illustrato solo il codice fraterno del documento.
La fraternità nella Bibbia non è un imperativo morale, religioso, espressione di generosità o invito alla solidarietà, ma indicazione per divenire persona piena e compiuta. Leggere la Bibbia non significa cercare di trovarvi un messaggio fuori dal tempo, definitivo, ma intraprendere un dialogo con un testo considerato importante, dove non parla solo il testo ma anche chi l’interpreta con tutto ciò che è, con le sue domande, la sua sensibilità, la sua cultura (André Wénin). Tutta l’enciclica è percorsa da questa idea fondamentale. I venditori del tempio vengono cacciati a frustate da Gesù. Anche in noi c’è una parte del nostro io che si comporta come i mercanti nel tempio.
Nella Bibbia ci sono due domande fondamentali: dove sei, uomo e dove è tuo fratello. Le domande della Bibbia, che chiedono dove, riguardano sempre una responsabilità. Le azioni, non le parole, rivelano dove e come si è. La domanda dove sei, viene rivolta ad Adamo, dov’è tuo fratello è rivolta a Caino. Ci sono dentro di noi delle periferie esistenziali che vanno visitate soprattutto in tempo di Quaresima. Si tratta di aprire le porte, che si trovano sempre all’ingresso e non al centro della casa. Elemosina e digiuno non sono parole ma azioni da compiere.
Tre sono i peccati generali raccontati nel libro della Genesi, che non significa genericamente inizio, origine, ma anche e soprattutto “in profondità”, “alla radice”. Questi tre peccati sono i passi falsi che portano l’uomo alla disumanizzazione, all’erranza, ad un cammino di morte. Il primo peccato è quello di non accettare il limite, bramare, accaparrare tutto per sé, darsi la vita da se stessi, sciupare la relazione con gli animali, con la donna, col suolo. Adamo e Eva sono le icone di questa prima disumanizzazione. L’altro cammino di morte è quello di lasciarsi dominare dall’invidia, dallo spirito di concorrenza e vedere l’altro come nemico. Caino ne è l’esempio. Il terzo peccato è quello di cercare di realizzare l’unità, negando le differenze. Il risultato è la torre di Babele.
Genesi è il libro scritto dopo quello dell’Esodo, per cui richiama tutte quelle realtà che il popolo ebraico rilegge alla luce di ciò che è successo prima e nel presente. La logica che disumanizza e rende l’uomo preda della sua animalità è la bramosia, il desiderio incapace di acconsentire al limite, alla mancanza che lo struttura. È il peccato di Adamo. Siamo creati fragili ma non vogliamo ammetterlo. Le origini della fraternità sono ampiamente sviluppate nell’episodio che ha per protagonisti Caino e Abele, al capitolo 4° della Genesi. Nel racconto, il termine fratello è presente per ben sette volte, indicando con ciò che ne è il tema centrale.
Caino è i primogenito di Adamo e Eva. Abele è il secondogenito. Nella cultura ebraica e non solo, al primogenito tocca tutta l’eredità, al secondo non tocca nulla. Caino (kanah, acquistare dall’ebraico) è l’uomo acquistato, ma anche colui che acquista, compratore, proprietario / possessore. Nella narrazione biblica è la persona attiva, forte. Nasce prima di tutti fa per primo il sacrificio a Dio, solo lui è interrogato da Dio e parla a Dio. Abele (häväl, in Ebraico significa respiro, soffio, niente, vanità). È sempre al secondo posto, cioè dietro o sotto Caino. Se Caino può essere considerato forte e possessore, Abele è debole e non possidente. Caino offre il sacrificio a Dio, i frutti della terra, in quanto agricoltore.
Abele offre a Dio i primogeniti del proprio gregge, perché pratica la pastorizia. Adonai sceglie Abele che instaura la fraternità e spezza l’illusione di Caino di essere al centro del mondo e di possedere tutto. Dio guarda con benevolenza al più debole e vuole che Caino guardi suo fratello Abele con il suo stesso sguardo che non è indifferente: “Ho visto il dolore del mio popolo, ho udito il suo lamento e sono sceso a liberarlo” (Es. 3).
Quello di Dio è lo sguardo di chi si contrae, per fare spazio agli altri. Vede le differenze e le benedice, mette parola. Caino rifiuta di guardare Abele con lo stesso sguardo di Adonai. A Caino gli si incendia il volto. L’invidia di Caino è la stessa di chi è felice per un bene che possiede solo per se stesso e infelice per la felicità degli altri.
La rabbia di Caino non è né negata né condannata. Dio invita a dominarla. Caino invece è prigioniero di se stesso, cattivo (captivus, posseduto). Dice: “Sono forse io il custode di mio fratello”? Uccidendo Abele, maledice se stesso, incapace di portare vita. È segnato solo dalla morte. Erra per il territorio e va in cerca di se stesso, perché senza l’altro non sa nemmeno chi sia. Questa è la sua tragedia.
L’essere maledetti, portatori di morte si declina in tanti modi: in– differenza, in– vidia, violenza, esclusione, de– responsabilità, incuria. Il fratello è l’altro, il differente che non ho scelto. Sono le pratiche che lo rendono mio fratello.
Essere fratello di un altro è sempre una relazione a tre. Nella parabola del figliol prodigo, il maggiore non chiama mai padre né una sola volta usa il termine fratello. Come Caino non è d’accordo con la scelta fatta dal padre.
Non riconoscendo il padre come tale, non riconosce nemmeno l’altro come fratello. Se riconosco un padre comune, riconosco anche l’altro come fratello; quando riconosco l’altro come fratello, allora riconosco un padre comune. Siamo Fratelli tutti, figli di uno stesso Padre. Noi non sappiamo che siamo senza l’altro.
La fraternità è accorgersi dell’altro, che non è l’inciampo sul nostro cammino ma è il mistero che ci interroga, è l’appello ad uscire.
Il male compiuto da Caino non si ferma a lui, ma continua nella sua discendenza. La maledizione prosegue mediante strutture di peccato, gruppi di potere che esercitano un grande fascino sull’uomo. Hanno la capacità di catalizzare, rinforzare e strutturare la cattiveria che c’è nel cuore. Queste strutture che affliggono la storia d’Israele sono indicate attraverso alcuni nomi: Enoch, Iabal, Iubal, Twalkain, Ada, Zilla, Naama, Matusael e Mekviael Lamech. Enoch è il nome della città, ma anche del suo fondatore, il diretto discendente di Caino.
Enoch rappresenta il potere della città, il governo, i soldati, gli esattori, i capi religiosi che diventano segni di oppressione per il popolo, portatori di ingiustizie, di dolore. Iabal è il potere del denaro e della ricchezza, struttura di potere maledetta quando è usata solo per il proprio tornaconto.
La marchesa di Barolo, che tanto aiutò don Bosco, finanziando tante sue opere, dimostra che la ricchezza in quanto tale non rappresenta il male.
Si trasforma in bene quando chi è ricco mette a disposizione di altri quello che può far nascere il bene sotto ogni sua forma, perché tutti ne traggano vantaggio. La ricchezza va messa al servizio degli altri non per perpetrare l’ingiustizia tra il Nord e il Sud del mondo o per mantenere un sistema iniquo di economia. Iubal rappresenta il potere della cultura che diventa maledetta quando chi possiede la cultura se ne serve per soggiogare chi ne è sprovvisto. Azzeccagarbugli, il dottore della legge, ne è il simbolo nel romanzo I Promessi Sposi. Il povero Renzo capisce che il suo interlocutore è a servizio di don Rodrigo, il prepotente che impedisce il suo matrimonio con Lucia. Twalkain è il potere delle armi, struttura di potere maledetta. La conquista, il dominio, la costruzione e il commercio delle armi arrecano morte all’umanità.
Ada (la graziosa), Zilla (il tintinnio), Naama (la bella) sono tre donne dominate dal potere maschilista. Non hanno nessun diritto di parola. Sono sfruttate per la loro bellezza. Il richiamo alla pornografia è forte.
Matusael e Mekviael rappresentano il potere dell’avidità. È una struttura di potere maledetta perché mira a distruggere Dio che ricorda di restituire il mal tolto.
Lamech è la violenza senza confine e senza alcun limite, è la prepotenza che non ammette legge, che si fa giustizia da sé. La fraternità invece si declina nella comunità, anche sapendo identificare i gruppi e le strutture di potere, denunciandolo.
Questi nomi della Bibbia sono propri di tutti noi. Perché il male non abbia l’ultima parola è necessario umanizzare le nostre esistenze. Quando scacceremo dentro di noi i venditori del tempio saremo nuovi. La fraternità è il modo elettivo con cui la vita (Dio) entra in quella degli uomini e “fa nuove tutte le cose”.
Al termine dell’incontro, raccolte molte domande, riportate sulla chat del canale YouTube, don Francesco Marcoccio ha ribadito che non sono le parole che contano ma le azioni.
La conversione si realizza facendo. La sclero- cardia si cura nel vedere l’altro come fratello. Dio non elimina mai la libertà della persona. Dio non ha creato Satana. Uno degli antidoti più forti per superare lo scoramento dato dalla pandemia in atto è la Speranza che sa guardare oltre. Una telefonata, per raggiungere anche solo con la voce chi non si può frequentare per le limitazioni imposte, allunga la vita.
La fraternità abita la concretezza del quotidiano. È in atto un cambiamento d’epoca e non di mentalità. La pandemia ha acuito ciò che già c’era prima di questo tempo.
La soluzione, per superare la depressione di tanti giovani e lo sconforto di tutti, non è immediata, occorre il contributo di tutti per uscirne. •

Sette mesi presso la Marchesa di Barolo

Mentre l’oratorio di don Bosco nuove i suoi primi passi (Dicembre 1841- ottobre 1844), Torino si avvia a diventare una città europea.
Viene raddoppiata la rete dei canali (1833- 1843), sono costruite tre importanti ferrovie ed è autorizzata la Genova – Novara.
Il progetto più ambizioso è il traforo del Fréjus, che avrebbe collegato la città piemontese all’Europa. L’11 aprile 1842 il principe ereditario Vittorio Emanuele, 22 anni, convola a nozze con Maria Adelaide, figlia di Ranieri, viceré austriaco della Lombardia. Al matrimonio viene invitato anche il maresciallo austriaco Radetzky.
La marchesa Giulia Viturnia Francesca Colbert, vedova Faletti di Barolo, convinta di dover scontare tutti i privilegi degli avi, di origine francese, ghigliottinati ai tempi della rivoluzione, decide di impegnare il suo immenso patrimonio nella costruzione di opere a favore del popolo più bisognoso.
Accanto al Cottolengo, costruisce il “Rifugio”, un istituto che accoglie le donne di strada, apre la casa delle “Maddaleine”, per le ragazze pericolanti, nel 1844 costruisce l’istituto ’”Ospedaletto di Santa Filomena” per le bambine ammalate e storpie.
Don Giuseppe Cafasso, nell’autunno del 1844, chiama don Bosco e lo manda da don Giovanni Borel, una personalità nella Torino di quel tempo, direttore del Rifugio. Don Bosco e don Borel si conoscevano da tempo. Don Cafasso vuole che don Bosco, mettendosi al servizio della marchesa di Barolo, abbia un lavoro ed uno stipendio, garantiti dalla Marchesa.
Don Bosco rimarrà ai servizi della marchesa per sette mesi, occupandosi dei ragazzi e delle tre opere caritative messe in piedi dalla marchesa. Traslocherà quando si rende conto che la convivenza tra i suoi ragazzi scalmanati e la marchesa di Barolo non può durare. •

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