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Il grido della Terra

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Ristabilire l’alleanza tra uomo e ambiente seguendo come regola di vita l’Enciclica di Papa Francesco “Laudato Si'”

Prodotti a chilometro zero, iniziative di riciclo, mercato dell’usato, economia circolare, eccosostenibilità, green style e ecofrendly, sono soltanto alcuni dei concetti che negli ultimi anni sono entrati a far parte delle nostre conversazioni modificando anche le nostre abitudini, i nostri consumi determinando al tempo stesso i punti salienti delle imprese. Diciamolo chiaramente i cambiamenti climatici e le forti pressioni esercitate dalle nuove generazioni più sensibili alla cura dell’ambiente hanno portato all’elaborazione di un concetto di benessere che non può più esimersi dall’attenzione per la natura. Questo interesse ambientale ha reso pertanto il discorso sull’ambiente un terreno affascinante sia per le aziende e sia per i consumatori. Gli italiani sono sempre più attenti a comprare prodotti salutari.
Anche se il prezzo continua ad essere determinante per la maggior parte dei consumatori, oggi cresce la quota di chi è disposto a pagare un sovrapprezzo se l’articolo è sostenibile. È quanto emerge da uno studio di Deloitte, pubblicato l’anno scorso, in cui si evince che salute e sostenibilità sono i fattori sempre più determinanti nelle scelte di acquisto di prodotti alimentari da parte dei consumatori italiani ed europei. Il nuovo report “The Conscious Consumer”, un’analisi che raccoglie il parere di oltre 17.000 consumatori in 15 Paesi europei, evidenzia che la salute è un criterio di scelta per l’86% dei consumatori e la sostenibilità per il 70%. In particolare, si prediligono i prodotti locali con un maggiore impegno a mangiare più verdura e lasciare indietro la carne, con il 54% dei consumatori che propende per la preparazione dei pasti a casa e con più attenzione per la riduzione del packaging (47%). Se questi sono i dati del settore alimentari bisognerebbe introdurre a questi le quote del mercato elettrodomestico, dell’abbigliamento e dell’automobile. In parole semplici non c’è un settore ora come ora che trascura il discorso ambiente, esso fa parte ormai della definizione stessa dell’essere cittadino oggi. C’è da dire perché che dai discorsi ecofrendly al rischio di greenwashing il passo è molto breve. Cos’è esattamente il greenwashing e perché questo fenomeno potrebbe interessarci?
Il termine è una sincrasi di due parole inglesi green (verde, colore simbolo dell’ecologismo) e washing (lavare) che richiama il verbo inglese to whitewash (in senso proprio “imbiancare, dare la calce”, e per estensione “coprire, nascondere”). In italiano potrebbe essere tradotto come “darsi una patina di credibilità ambientale” o meglio ancora come “ecologismo di facciata”. La sua introduzione sembrerebbe risalire all’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo utilizzò nel 1986 riferendosi alla pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando, in realtà, tale invito muoveva prevalentemente da motivazioni economiche.
Solo a partire dagli anni novanta questa pratica si è intensificata, alimentata dalla crescita dell’attenzione dei consumatori ai temi della tutela ambientale. Potremmo quindi definire il “greenwashing” come una forma di appropriazione indebita di qualità ecosostenibili per conquistare il favore dei consumatori o ancora, nel peggiore dei casi, come una pratica per distrarre dalla propria cattiva reputazione di aziende, le cui attività compromettono l’ambiente e/o le persone o infine come una sorta di lavaggio delle coscienze nell’era della sostenibilità. Il concetto non riguarda soltanto le aziende ma anche i consumatori. Sono molte le persone che scelgono con cura i propri alimenti, ad esempio e non applicano lo stesso rigore per il consume energetico o sono addette della fast fashion (la moda istantanea che genera tonnellate di capi sul mercato). Quest’ultima è tra i più grandi settori che inquinano al mondo dopo il petrolio. Ad ogni modo sono moltissime le aziende che si celano dietro i termini di sostenibilità (ambientale e/o etica) senza però agire in modo concreto per tutelare l’ambiente e le persone e soprattutto senza modificare concretamente la loro visione aziendale e questo perché intraprendere un vero percorso di sostenibilità è molto costoso ed impegnativo, mentre il richiamo alla sostenibilità appare oggi indispensabile per far aumentare il valore di un brand.
Così si moltiplicano le iniziative delle imprese per promuovere campagne di marketing che esaltano le caratteristiche “ecofriendly” della loro produzione, stilate talvolta con criteri poco credibili o assolutamente parziali. Improvvisamente, tantissimi prodotti sono diventati ecofriendly, anche se sono pochissimi i brand che forniscono informazioni inerenti la tracciabilità dell’intera filiera produttiva. In sintesi, sembra convenire di più investire per salvare le apparenze, piuttosto che attuare pratiche di business con un minor impatto ambientale, data la complessità e i costi ancora molto elevati di questa transizione, costi di cui nessuno vuol farsi carico. •

Don Lambert Ayssi Ongolo

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