“Robe” dell’altro mondo

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robeStiamo assistendo alla nascita di una Chiesa. Non è facile accorgersene. Gesù stesso lo ha fatto capire: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!”. Infatti “esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra”.

Se la Prefettura Apostolica di Robe diventerà un giorno una grande pianta non lo sappiamo, ma il seme è qualcosa di meraviglioso. Ed è davvero il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra: poveri, orfani, vedove, storpi, esclusi dalla società. È su questi fratelli “risorti” che si fonda la nostra chiesa sorella di Robe in Etiopia, formata ad oggi da quattro parrocchie (Kofale, Dodola, Adaba e Robe), diverse outstations e non più di 800 cattolici. Padre Angelo, profeta più che Prefetto Apostolico, è uno dei pochi ad averci creduto fino in fondo.

Quando tutti abbandonavano la barca della prima evangelizzazione, lui se n’è fatto carico con tutto se stesso, coinvolgendo nella missione tra gli altri anche la nostra diocesi di Fermo, con la certezza che in questo modo possiamo riscoprire la nostra fede come un dono prezioso. In questo senso è importante che il Papa ci inviti ad «andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore! Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana.[…]

La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie – che pena tante parrocchie chiuse! – dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre!». Una Chiesa chiusa in se stessa è per definizione un ossimoro, sembra dire papa Francesco. La fede si vive soltanto donandola con passione ed amore, c’è sempre qualcuno pronto ad accoglierla. Come a Kofale, dove alla prima “comunità in cammino di conversione” ne sta seguendo un’altra. Oltre trenta persone, tra i più poveri dei poveri, hanno partecipato alle catechesi, quasi tutti musulmani che non hanno mai sentito parlare di Gesù Cristo. Tutti continuano il loro cammino insieme ai catechisti che fanno parte della prima comunità, e che ora trasmettono la “buona notizia” che hanno ricevuto ad altri fratelli. Nell’Islam africano le conversioni sono possibili, ma non è questione di numeri, è questione di annuncio.

Per quanto possa divenire grande, la Chiesa di Robe non sarà mai maggioritaria, né potente. Forse è per questo che si avvicina maggiormente all’ideale evangelico, e forse è per questo che potrà aiutarci nel momento in cui anche in Europa la Chiesa tornerà ad essere minoritaria ed impotente. Un passaggio doloroso ma fondamentale, perché ci si svesta dai segni del potere e si ritorni al potere dei segni (Tonino Bello). Una Chiesa segno, profetica, sale della terra e non pietanza qualsiasi. Manifestazione del Regno e non recinto delle pecore. Una Chiesa come quella di Robe, fatta di pochi cristiani che gareggiano nell’amarsi a vicenda. Che come il Padre si riveste di misericordia per andare incontro alla pecora perduta, anche rischiando di lasciare le altre nel deserto. Così nasce la Chiesa: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Una parola che si può vivere in pienezza, in Africa. Come a dire: Robe dell’altro mondo. E noi? •

Devis Benfaremo

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