RITROVARE IL CONCILIO O RITROVARSI IL LATINO ?

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Si può discutere all’infinito se e in che modo il Concilio Vaticano II abbia contribuito a cambiare il volto della Chiesa cattolica. Una cosa, però, appare sufficientemente certa. Con il Vaticano II i cattolici cambiarono nel modo di pregare. Il che, per un’istituzione religiosa, non è questione di poco conto.

Il noto teologo Giuseppe Ruggieri, uno degli studiosi più accreditati del Vaticano II, in un suo libro apparso recentemente, riandando ai ricordi personali, così riassume il cambiamento: “al mio paese, in Sicilia, avevo appreso da bambino un indovinello che si riferiva alla messa come si celebrava allora: cento muti e ‘npazzu (cento muti e un pazzo). Il popolo che ascoltava e guardava muto un pazzo gesticolare e parlare sotto voce sull’altare, mentre dava le spalle ai presenti”. La stragrande maggioranza delle persone ignorava il latino, quindi assistevano “mute” ad un rito officiato da uno specialista del sacro in una lingua “sacra” e con gestualità esoterica.

Però, riflettendo meglio sulla cosa, quanto evidenziato da Ruggieri, per la Sicilia, dalle nostre parti risulta vero solo a metà. Certamente, anche da noi, molti restavano “muti”, ma c’erano anche molti che rispondevano con una strana lingua, una sorta di spontanea traslitterazione maccheronica di alcune formule liturgiche latine, dove le parole dicono una cosa (ad es. “brugna”) ma ne indicano di fatto un’altra (la prugna sostituisce l’aggettivo “eburnea” riferito a “Turris”). Requiem aternam diveniva “recchia materna”, et ne nos inducas si mutava in “tre nos in du casse”, Pange lingua gloriosi si tramuta in “Parce lingea groliosi”, il notissimo Dies irae, dies illa, solvet… veniva trasformato in “Diasìlla Cristi dàculi con Sibilla”. Inoltre, il solenne Per ipsum, cum ipso et in ipso veniva contratto nel laconico “Per issi”, espressione con la quale si indicava che non mancava molto alla fine della Messa.Infatti, quando si chiedeva: “Do passa la messa?” la risposta poteva essere “a li per issi”.

Comunque, il caso più emblematico di traslitterazione dadaista è il Tantum ergo, che diventa Santu mergo. Riportiamo la trascrizione fedele del Santu mergo/Tantum ergo tratta da un articolo di giornale apparso verso la metà degli anni sessanta, quando ancora infuriava la polemica tra tradizionalisti difensori del latino e innovatori propugnatori della liturgia in lingua italiana:

Santu mergo Sacramento

Veniremo accetuì,

e l’antico documento novo in cena trituì

presta un figlio a supplemento senza un difetto ì!

Genitori, o genitori, lau a sette jubilaziò

salle sale Criste spose dia la venediziò,

procedenti, anabotròque compassiò e laudaziò.

A me

Attualmente, alcuni, desiderano ripristinare il latino nella liturgia, con la conseguenza automatica, data la scarsa diffusione della conoscenza di tale lingua antica, di avere di nuovo assemblee di “muti”, o di dar luogo al dadaismo linguistico di traslitterazioni originali ma indubbiamente criptiche. Sarà proprio questa la via da percorrere per la salvezza delle anime, o non è invece il caso di “ritrovare il Concilio” piuttosto che il latino?

Onofrio Interrante

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