Negli statuti le cooperative sembrano tutte uguali e si riconoscono nei medesimi princìpi ma, in realtà si comportano in modo diverso a seconda della loro vera “mission”. La cooperativa buona considera il lavoro in senso soggettivo: l’uomo-soggetto del lavoro e questa dimensione condiziona la stessa sostanza etica del lavoro. Non c’è alcun dubbio che il valore umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso. Non tratta il lavoro umano come merce, in conseguenza di una concezione, peraltro molto diffusa, “materialistica” ed “economicistica”. Non considera l’uomo come uno strumento di produzione ma valorizza il concetto dell’uomo soggetto del lavoro che deve trovare un posto nella sfera sociale ed economica del mondo in cui vive. Queste sono le proteine (lo spirito) che accompagnano nel loro viaggio nel mondo del lavoro il colesterolo buono; sono quelle che si sforzano di vivere quotidianamente fino in fondo questi ideali, nonostante la crisi economica. Ora concentriamo la nostra attenzione su cooperative cattive perché è da lì che vengono tanti problemi.
Diversamente dalla cooperativa buona la coop cattiva, mascherata sotto la falsa forma di cooperativa, considera l’uomo come strumento di produzione e non invece secondo la vera dignità del suo lavoro, cioè come soggetto e autore, e per ciò stesso come vero scopo di tutto il processo produttivo. Ne consegue che il socio (o soci) di maggioranza utilizzano questa forma di società per trarne vantaggi fiscali e contemporaneamente sfruttare i lavoratori che figurano come “soci” ma in realtà sono lavoratori dipendenti senza diritti e con bassi redditi. Appare evidente che in tali condizioni la cooperativa cattiva si può imporre sul mercato con politiche aggressive di prezzi rese possibili proprio dallo sfruttamento dei lavoratori, cioè l’esatto contrario degli scopi per cui è nata la cooperazione. Di fatto si fa una concorrenza sleale sia alle cooperative buone che a tutte le altre aziende concorrenti mettendo a rischio le aziende sane. È ovvio che in un mercato sempre più competitivo, aggravato dalla crisi economica che stiamo attraversando, anche le grandi aziende (sia pubbliche che private), per contenere il costo del lavoro, si rivolgono alle cooperative per delegare alcuni servizi (come le pulizie all’interno dell’azienda, la gestione delle mense, servizi assistenziali in genere, il rifornimento notturno dei prodotti sugli scaffali dei supermercati, etc.) fino alla gestione di alcuni reparti produttivi o di alcuni tipi di lavoro.
È anche vero che alcune società appaltanti offrono alle cooperative delle interessanti opportunità di lavoro a dei prezzi però che esse direttamente non potrebbero sostenere e così riducono i loro costi senza alcuna responsabilità diretta della gestione di quel personale. Così facendo obbligano di fatto la cooperativa a limitare i diritti dei propri “soci-lavoratori” per mantenere un margine di guadagno. In questi casi appare chiaro che non è più il Contratto Nazionale di Lavoro il regolatore della retribuzione del “socio-lavoratore” bensì il prezzo imposto dalla ditta committente. Di conseguenza assistiamo ad un proliferare di contratti (lettere di assunzione) con le diciture più svariate, la fantasia degli italiani è infinita, ma tutte con il solo scopo di tutelare non il lavoratore ma soltanto il “mostro”. D’altronde come dice il detto, “se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna”, non potendo delocalizzare alcune lavorazioni nei paesi dove meglio si può sfruttare la manodopera, si importa l’arte dello sfruttamento. Spesso sulla carta tutto è regolare. Negli uffici sindacali abbiamo raccolto un bel campionario di contratti di lavoro. Anche negli uffici pubblici preposti (D.P.L.) si devono essere fatti una bella cultura in tal senso.
Questi documenti di lavoro sono redatti in modo impeccabile, pari pari come previsto dalla norma. Ma poi nella realtà Mangiafuoco non fatica troppo a far ballare i suoi burattini. E se vogliono una “opportunità di lavoro” ballano. Eccome se ballano…. tutti senza i fili e senza dignità. Prima si lamentavano e qualcuno gridava il proprio disagio, oggi sembrano come rassegnati. Questo stato di cose sembra ineludibile. Ma noi del sindacato siamo diventati sordi? Ci siamo rassegnati? La vogliamo dare una risposta a chi non è rimasta più nemmeno la voglia di gridare? È mai possibile che a causa della crisi si debba sopportare sempre di più? E facciamoci una domanda: Dietro a tutto questo schifo chi tira veramente i fili? Con quale scopo? Di certo non è per il bene comune! Alla luce di queste considerazioni il sindacato deve continuare a lottare per la giustizia sociale, questa “lotta” deve essere vista come un normale adoperarsi per il bene che corrisponde alle necessità e ai meriti delle persone che lavorano. Non deve essere una lotta “contro” gli altri o per eliminare l’avversario ma deve avere carattere di opposizione all’ingiustizia. La cooperazione è un valore positivo e non va combattuta se cattiva ma ricondotta sulla sua strada. Strada che unisce e non divide come separati in casa. È necessario quindi che i sindacati, le cooperative “buone”, le Associazioni datoriali, le forze politiche, le amministrazioni locali, le Istituzioni Pubbliche e tutte le forze sociali collaborino per smascherare le pseudo-cooperative, per trasformarle in cooperative “buone” o rendere loro la vita difficile ed al limite espellerle dal mercato. È necessario che le aziende committenti adottino un codice etico e debbano considerarsi responsabili delle condizioni di lavoro dei “soci-lavoratori”. È necessario che sul marchio di qualità di ogni prodotto/servizio vi sia indicato il rispetto della dignità umana che è più importante dello spread. •
Marco Peverada