Accolto dal Grand Mufti, il Papa – come è tradizione – si è tolto le scarpe ed è entrato in moschea dove il gran Muftì ha presentato alcuni versetti del Corano partendo da Zaccaria, Giovanni, Elisabetta e Maria. Il Papa per ben due volte ha detto al Muftì: “Dobbiamo adorare Dio”. E poi sotto la cupola ha insistito: “Non solo dobbiamo lodare e glorificare Dio, ma dobbiamo adorarlo”. Poi il Papa e il Grand Muftì si sono messi davanti al “Mihrab”. È una sorta di abside che, in una moschea o dovunque si voglia pregare, indica la “qibla”, ovvero l‘esatta direzione della Mecca, la città ospitante la Ka’ba.
Il Muftì ha citato uno dei versetti del Corano nei quali si parla di Dio come Dio dell’amore e della giustizia e, rivolgendosi al Papa, ha detto: “su quello sicuramente siamo d’accordo”. E il Papa ha risposto: “certamente su quello sono d’accordo”. E dopo che il seguito si è posto in semicerchio, il Papa e il Gran Muftì si sono fermati in un momento di “adorazione silenziosa”: oltre tre minuti durante i quali il Papa ha pregato con le mani giunte, il capo chino e gli occhi chiusi mentre il Gran Muftì rivolgeva le mani al cielo. Dialogo: la parola proposta anche alle comunità cattoliche che compongono la variegata galassia della Chiesa cattolica turca. Un meraviglioso mosaico di lingue e culture, canti e liturgie che compongono la cristianità con i suoi riti latino, armeno, siro e caldeo.
La Cattedrale dello Spirito Santo di Istanbul è in festa. Con urla di gioia, applausi e grida di giubilo – “viva il Papa” – hanno accolto il Papa latino-americano. Un incontro “atteso da tanti anni”, dice Mary, armena. E Jacqueline, cattolica latina, aggiunge: “Porta una ventata di aria fresca. Il Papa ci dà coraggio e ci invita alla comunione”. “Siamo una chiesa – ci tiene a precisare Costantino di Smirne – dalla fede radicata e forte ma che soffre. Noi non chiediamo niente, ma vorremmo più sacerdoti perché in Turchia sono pochi ed è estremamente difficile per loro ottenere il permesso di soggiorno”. La celebrazione della messa è inter-rituale. Si prega per la pace e per i profughi in sei lingue, anche in turco e in arabo.
La prima lettura è in lingua caldea e il canto finale è in armeno. “È vero – dice papa Francesco -, lo Spirito Santo suscita i differenti carismi nella Chiesa; apparentemente, questo sembra creare disordine, ma in realtà, sotto la sua guida, costituisce un’immensa ricchezza… Solo lo Spirito Santo può suscitare la diversità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità”. La fraternità con il Patriarca. Con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, il rapporto va oltre il dialogo per sintonizzarsi su un piano di fraternità. È stato il Patriarca ad invitare Papa Francesco a Istanbul per celebrare insieme la festa patronale di Sant’Andrea e dare al mondo, soprattutto alle regioni in guerra del Medio Oriente, la testimonianza di una cristianità unita nella carità.
“Vi accogliamo con gioia, onore e riconoscenza – sono le prime parole con cui Bartolomeo ha accolto il Papa al Fanar -, poiché avete avuto la bontà di portare i vostri passi dalla Antica alla Nuova Roma, gettando un ponte simbolico, con questo vostro gesto, tra l’Occidente e l’Oriente”. E il Papa gli risponde: “Andrea e Pietro hanno ascoltato questa promessa, hanno ricevuto questo dono. Erano fratelli di sangue, ma l’incontro con Cristo li ha trasformati in fratelli nella fede e nella carità. E in questa sera gioiosa, in questa preghiera vorrei dire soprattutto: fratelli nella speranza”. Poi terminato il discorso, il Papa ha messo da parte i fogli, ha guardato negli occhi il Patriarca e gli ha detto: “Vi chiedo di benedire me e la Chiesa di Roma”. E così si è avvicinato a Bartolomeo; si è inchinato poggiando il capo sul suo petto e il Patriarca lo ha baciato sulla testa. Un gesto semplice, quasi familiare, come è l’amore tra i fratelli. Amore che unisce e abbatte in un attimo secoli di divisioni e di muri. •
Maria Chiara Biagioni