Avevamo assistito, negli anni ’90, ai flussi migratori provenienti dai paesi dell’est. Passarono in parte sotto silenzio perché gli ingressi avvenivano per “via legale”. Con il permesso di soggiorno turistico decine di migliaia di immigrati dell’est europeo hanno fatto ingresso in Italia e in Europa, per poi chiedere e ottenere le celebri “quote” di stranieri con lo strumento della “regolarizzazione”. Molti di quegli ingressi furono accolti benevolmente (si pensi alle badanti) perché risolutori di problemi sociali in Italia e altrove.
Attualmente le guerre e le povertà del nord e del centro Africa hanno determinato un flusso di immigrazione, con risvolti più caotici, drammatici e più impegnativi (salvataggi in mare). Nonostante il fenomeno sia sotto gli occhi di tutti, c’è l’ostinazione a considerare l’immigrazione un episodio di emergenza. Non è emergenza, ma fenomeno strutturale: siamo di fronte a emigrazioni di fette consistenti di popolazione giovane. Logica vorrebbe che l’Europa Unita si ponesse il problema e approntasse soluzioni serie.
La prima soluzione richiede la volontà di intervenire a monte della domanda che significa fornire consistenti aiuti ai popoli in difficoltà per fermare l’immigrazione sul nascere. Neppure l’ombra di questo percorso è presa in considerazione, ma ci si ostina ad attendere al varco le partenze di immigrati africani, con grande dispendio di energie e scarsi risultati di respingimento.
La seconda strada è quella dell’integrazione. Accogliere, limitandosi al permesso di soggiorno, per lasciare all’iniziativa dei singoli il compito dell’integrazione è troppo rischioso. Un progetto di integrazione che individui luoghi, possibili lavori, scuole, territori — almeno in linea di massima — è necessario. La popolazione immigrata, come avviene per tutti i grandi numeri, è composta da soggetti con diversi livelli di istruzione, di tradizioni, di lingua. Coordinare i movimenti garantisce il raggiungimento di risultati, senza eccessivi allarmi. Fino a che questa coscienza non maturerà assisteremo a emozioni, tragedie, arrangiamenti, pseudo soluzioni, con l’aggravante di elevate spese senza benefiche conseguenze né per i paesi ospitanti, né per chi è accolto.
È l’auspicio che una corretta coscienza civile e cristiana suggerisce per rispondere ai dettami dell’accoglienza, accompagnati da razionalità e da intelligenza. Rispondere all’esortazione evangelica di accogliere “lo straniero” presuppone, nella complessità dei problemi moderni una grande capacità organizzativa, culturale, sociale ed economica, superando così paure e pregiudizi. •
Vinicio Albanesi