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Omicidio Varani: Nel divertimento dei nostri ragazzi c’è già l’ombra della morte

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“Volevamo uccidere qualcuno solo per vedere l’effetto che fa”: così Manuel dopo avere seviziato e ucciso Luca insieme a Marco. Dovremmo finire qui: questa frase tutto dice, su questa frase tanto si è detto.
Per non impazzire di dolore di fronte all’esperienza del male così gratuito e vile, si cercano parole che possano difenderci e allontanarci da quella camera di tortura e morte, si cercano ragioni che possano limitare la responsabilità dei due giovani per assolvere il mondo adulto dal suo grave peccato sociale, quello dell’abbandono degli adolescenti e dei giovani alle liturgie del divertimento fatte di alcol, sesso, droga e sballo.
Sono liturgie funzionali all’adorazione del dio-piacere, quello che offre un corpo sollecitato nei modi più raffinati e con le sostanze chimiche più all’avanguardia; quello che ha come templi non solo locali delle grandi città o discoteche rivierasche, ma anche case private dove si organizzano gli afterini, 24-36 ore a fare e farsi di tutto; e sono gli adulti a recitare l’antifona mentre lasciano libera la casa ai figli per il week-end: “che male c’è a divertirsi un po’, basta che non esagerino”.
La parola del dio-piacere è proclamata a livello globale anzitutto dai sacerdoti della musica mondiale di massa, quella che fa miliardi di visualizzazioni su Youtube, strumento potentissimo per fare nuovi discepoli: basta vedere un video musicale in cui sono rappresentati quelli che si divertono: clima orgiastico, frasi come “tutti in fila nel bagno provando a farsi una striscia”, sono dette, ripetute e ribadite da immagini che lasciano poco all’immaginazione. Come dire: non puoi che divertirti così.
E noi, non toccati direttamente dalla tragedia di Roma, non illudiamoci che i fedeli di questa liturgia malata siano ragazzi di vita alla Pasolini o ragazze di strada alla Dostoevskij: sono i nostri ragazzi, quelli normalissimi, quelli sempre e comunque “bravissimi”.
Per capire cos’hanno in mente, proviamo qualche volta a buttare l’orecchio quando programmano il fine settimana sull’autobus o ai margini dei nostri campi sportivi; proviamo a buttare l’occhio all’uscita di un supermercato hard-discount alle sei di sabato sera, quando escono con casse di birra per i loro primi afterini.
Questo scenario si rende possibile perché il mondo educante, famiglia, scuola, parrocchie in primis, ha troppo spesso alzato bandiera bianca, impotente e prono allo strapotere che nel brevissimo periodo hanno questi modelli di vita su chi sta crescendo; un mondo educante che si sta sempre più accontentando di adolescenti e giovani che si comportano bene solo mentre sono sotto la loro giurisdizione o custodia; un mondo educante alla fede che, con rare eccezioni e solo per esempio, non conosce e non sostiene l’uso consapevole e critico dei prodotti musicali mass-mediali, cultori dello sballo nel tempo libero e del sacrificio sempre più esigente al dio-piacere; un mondo educante alla fede che, contraddicendo l’opera di don Bosco che in-tratteneva con banda e teatro, tollera che divertimento e tempo libero vengano vissuti lontano dagli adulti, fuori da ogni azione di orientamento e crescita, viziati ed asserviti al dio-piacere.
Un problema, questo, che sta anche dentro le comunità cristiane dove con impegno e sforzo si fanno pure concerti, musical e balli, ma del cui stile e dei cui spazi ci si libera presto quando “ci si va a divertire”, con il desiderio di provare l’ebbrezza del nuovo, dentro cui si insinua anche l’ombra della morte, come è successo in quella maledetta stanza di Roma.
E perché la morte di Luca possa insegnarci a vivere, è necessario riprendere a educare o rieducare sempre più e sempre prima al tempo libero e al divertimento, perché è qui che si gioca una buona fetta del nostro futuro. •
Marco Brusati

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