Volti e corpi feriti da un maschilismo violento e tardo a morire.
Femminicidio. È stato coniato un termine ad hoc per sottolineare la peculiare efferatezza dei casi di omicidio in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi basati sul genere.
Eppure, non siamo sorpresi. Ci sorprenderebbe il contrario, donne che trucidano gli uomini per motivi di genere: “Ominicidi”?
In Italia si contano circa 60 femminicidi dall’inizio del 2016.
Eppure i centri anti-violenza chiudono, testimonianza della sottovalutazione del “fenomeno”.
Si riconosce il problema, si trascurano le soluzioni: infatti, la questione è soprattutto culturale.
Una cultura plurisecolare è stata plasmata sulla figura della donna debole. Persino le eroine delle favole sono avvolte in una patina di vulnerabilità proposta come “romantica”: delicate fanciulle sottomesse a patrigni e stregoni attendono il principe azzurro per essere salvate.
Eppure, le ecchimosi sul viso, omaggio di mariti o compagni esemplari, non sono propriamente romantiche.
La figura della donna viene comunemente interpretata in ragione del suo ruolo sociale: madre, figlia, moglie. Leggiamo nelle Sacre Scritture: “Dio… con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo” (Gn 2,22). Non fraintendiamo, il messaggio non è di assoggettamento: si tratta piuttosto di un legame imprescindibile di amore.
Eppure, la mutilazione con acido a opera di un ex fidanzato possessivo non è prova di vero amore.
L’antidoto? Ripartire dall’educazione nelle scuole, nelle famiglie, affermare il “vero paradigma”: la donna ha senso in quanto essere vivente, in quanto individuo.
La donna e l’uomo sono diversi ma la diversità è ricchezza, non giustificazione di atti di odio. Questi ultimi vanno condannati, siano le vittime uomini o donne. Niente legittima l’atto di uccidere una donna perché femmina: non esistono questioni di genere che tengano.
Eccole, le donne deboli: Carmela Rosalia, moglie di un boss della mafia, ha denunciato il clan; Francesca insegue il suo sogno di lavorare nel campo della multiculturalità mentre ha un impiego part-time, costruisce una famiglia con il suo compagno e studia con profitto; Jane gestisce un programma di microcredito per aiutare altre donne a metter in opera le proprie idee di business; Maria ha accolto l’annuncio non convenzionale dell’Angelo e ha avuto un figlio single e adolescente.
Non siamo le Cenerentola che cantano “I sogni son desideri”.
Siamo figure reali: carne e ossa, cervello e cuore. Non siamo speciali, siamo squisitamente persone come le altre. •
Natascia Alessandrini