Non siate doppi e decidete cosa fare da grandi

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Capodarco: i seminaristi hanno iniziato la vita comune con gli esercizi spirituali predicati da don Vinicio Albanesi e dagli ospiti della comunità

Cristo pregava, predicava e faceva i miracoli. Anche la chiesa primitiva riuniva queste tre funzioni in un’unicum. Poi la capacità di fare miracoli, la carità, è stata affidata dapprima ai diaconi e poi pian piano delegata ai santi o alle varie congregazioni o confraternite. Ai ministri è rimasto il culto e la predicazione. È tempo di riunire le tre funzioni in un’unica persona. Non abbiamo bisogno di preti bravi nella predicazione e inesperti nella Parola di Dio. Non abbiamo bisogno di bravi esegeti ma con il cuore di pietra. Abbiamo bisogno di mostrare sempre il volto misericordioso di Dio “qualche volta con la parola” come chiosava ironicamente papa Francesco.
È questa la tesi svolta da don Vinicio durante gli incontri pomeridiani avuti con i seminaristi di Fermo accolti a Capodarco dal 20 al 23 settembre. I seminaristi non hanno assistito solo a meditazioni, ma hanno anche vissuto la carità nelle varie comunità seguite dalla Comunita di Capodarco. Al mattino infatti i seminaristi, dopo la preghiera delle lodi, si spostavano per vivere in due comunità diverse con i residenti e gli operatori. Nel pomeriggio, ci si ritrovava tutti a Capodarco, per un incontro formativo ora guidato da don Vinicio ora da altri ospiti come Carmen, Giovanni, Maria Grazia.
L’idea di vivere gli “esercizi spirituali” in questo modo è venuta all’indomani dell’invito del Vescovo, mons. Conti, di rimettere al centro la Carità e, soprattutto, l’invito di Papa Francesco a non essere prìncipi ma pastori. Nel giorno della festa dell’esaltazione della croce infatti il papa ha spiegato come Gesù “Era un pastore che era tra la gente, tra i poveri: lavorava tutto il giorno con loro. Gesù non era un principe. È brutto per la Chiesa quando i pastori diventano principi, lontani dalla gente, lontani dai più poveri: quello non è lo spirito di Gesù. Questi pastori Gesù rimproverava, e di loro Gesù diceva alla gente: fate quello che loro dicono, ma non quello che fanno”. Ecco allora è necessario inseganre ai futuri pastori a vivere con il gregge, anche più difficile.
La giornata si apriva con le lodi mattutine; alle ore 18,30 nella cappella della comunità di Capodarco si celebrava l’eucaristia aperta anche ai residenti; si chiudeva con la compieta.
Venerdì pomeriggio la comunità dei seminaristi ha vissuto nel silenzio davanti al Santissimo, solennemente esposto.
Sabato sono stati chiamati a testimoniare la loro vocazione ai fidanzati riuniti a Villa Nazaret e ai giovani cresimandi di Petriolo.
La settimana di esercizi si è conclusa con la partecipazione all’eucaristia nella quale è stato amministrato il sacramento della cresima a 16 ragazze e ragazzi di Petriolo, un paese toccato profondamente dal terremoto. La celebrazione infatti si è svolta sotto un tendone messo a disposizione dall’Amministrazione comunale. •

Nicola Del Gobbo

“Se fai il bene ti diranno che lo fai per secondi fini egoistici: non importa fa il bene. Se realizzi i tuoi obiettivi incontrerai chi ti ostacola: non importa, realizza. Il bene che fai forse domani sarà dimenticato: non importa fa il bene. Quello che hai aiutato non te ne sarà grato: non importa, aiutalo. L’uomo è spesso irragionevole, illogico, egocentrico: non importa, amalo. L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile: non importa, sii onesto e sincero. Dai al mondo il meglio di te, e forse sarai preso a pedate: non importa, dai il meglio di te”. Con questa preghiera di Santa Madre Teresa di Calcutta siamo stati accolti nella comunità di Capodarco per alcuni giorni di ritiro prima dell’inizio dell’anno. Parole profonde e vere di una donna di grande fede, che abbiamo potuto toccare con mano concretamente grazie a questa esperienza. In particolare sono due le cose che mi hanno colpito: la bellezza nei volti degli operatori che lavorano nelle varie comunità che abbiamo visitato e il sorriso e la gioia di chi fa parte di quelle comunità, nonostante le difficoltà, le ferite, la stanchezza e i momenti duri. E tutto questo mi ha spinto a riflettere sul tempo: come lo impiego, quanto ne spreco, quante volte lo tengo per me. Infatti ho percepito in questi giorni come il modo migliore per impiegare il tempo sia spenderlo per un qualcosa più grande di te: costa sicuramente fatica, ma i frutti sono una gioia e una serenità che non si acquistano se non passando per questa strada. “Per noi ciò che importa è l’individuo. Per poter amare una persona dobbiamo entrare in stretto contatto con lei. Credo nel rapporto a tu per tu: per me ognuno rappresenta Cristo e, poiché c’è un solo Gesù, quella persona in quel momento è l’unica al mondo” scriveva Santa Madre Teresa di Calcutta. Una grande passione per Cristo e quindi una grande passione per l’uomo. Affinchè la nostra vita non sia tempo sprecato.   •

Marco Zengarini

Mi sono rimaste impresse due cose, tra le tante che don Vinicio ci ha detto: “Che cosa volete fare da grandi?” e “ricoratevi di fare un’opera”.
Ora, io non lo so se questa settimana l’opera l’abbiamo fatta noi oppure il Signore attraverso la comunità di Capodarco e quella Arcobaleno dove sono stato, l’ha fatta a me. Sono più propenso per la seconda idea. Il seminario attraverso questi luoghi ci ha proposto un’esperienza unica. Non c’è stato un giorno in cui non sono tornato a casa senza un magone devastante dentro lo stomaco. E no, non è il solito pietismo di un momento, vi assicuro. Nei volti e nelle storie, nelle vite e nel quotidiano di tutti quelli che ho incontrato ho visto passare Dio. Ci ho visto stampato a caratteri cubitali Dio. Non solo. Ho visto scritto: “Io-sono qui per amore, amami!”. Non prendetemi per un visionario, non lo sono. Ho semplicemente sentito il mio cuore e la mia anima presi, capovolti, scossi, shakerati e rimessi al proprio posto.
Personalmente non so quanto posso aver dato a loro. Anzi sono convinto di non aver dato un bel niente. Forse gli ho prestato due orecchie per ascoltare e due occhi a volte curiosamente indiscreti per guardarli, per studiarli, per capirli. Mi serviva un qualcosa di forte che mi riportasse coi piedi ben puntati a terra. Il Signore mi ha fatto questo regalo, ha fatto Lui la sua opera verso di me. Mi sono interrogato, commosso, mi sono stupito e provato dolore per molte storie che ho sentito. Mi sono detto che domani in una parrocchia sarà così. Ci saranno storie, volti, dolori e sofferenze. Ci saranno inni alla vita che nessuno canterà, ci saranno pesi che sarà difficile portare da soli, perchè quando si soffre non si vede altro che il proprio dolore e si diventa egoisti.
Che cosa voglio fare da grande? Questo ce l’ho chiaro.
Dio passa attraverso ogni persona che incontriamo, ogni parola, ogni gesto. Ne sono certo.
Voglio chiedere al Signore la grazia, (una sola) di non farmi mai passare accanto a qualcuno senza non riconoscere il suo volto. Perchè sono sicuro che quando vedi nell’altro un po’ di Dio, lo ami, lo ascolti, lo nutri, lo sfami, lo accogli.
Quando vedi nell’altro Dio sei capace di fare le opere. Sei capace di donarti senza riserva. Sei capace di com-patire (patire insieme) all’altro, di morire sulla croce con lui.
L’amore genera amore. L’amore genera vita, la vita genera speranza, la speranza genera fede, la fede genera carit à. È un cerchio perfetto che si chiude.
Grazie a tutti quelli che questa settimana il Signore ha messo sul mio cammino. Dagli operatori, ai ragazzi, a tutti quelli che vivono e lavorano nelle strutture, a Carmen e don Vinicio per averci aperto le porte di un mondo “perfettamente imperfetto”. È stata una botta di vita straordinaria. In questa nostra società rainbow, dei diritti civili pretesi e rivendicati, io anche ho vissuto la mia settimana “rainbow” in comunità. E ho visto un cielo stupendo su di me. Un bellissimo CieloArcobaleno. •

Leonardo Bottalico

Non adattarsi mai alla cultura dello scarto che respinge i più deboli, come spesso ci ricorda con appelli accorati anche Papa Francesco; allo stesso modo del Buon Samaritano siamo invitati ad accorgerci delle situazioni di sofferenza che incontriamo tutti i giorni, chinarci e prenderle su di noi. Sono queste le idee che più risuonano nella mente dopo i giorni intensi di ritiro nella Comunità di Capodarco, prima dell’inizio dell’anno di Seminario. Giorni caratterizzati da luminosi momenti di condivisione con gli ospiti e gli operatori delle varie strutture, in cui abbiamo partecipato alla vita della Comunità stessa. Da questa esperienza riporto impressi nel mio cuore i volti e le storie delle persone che ho incontrato, da cui ho ricevuto molto, volti e storie che la sofferenza non è riuscita a piegare, spesso illuminati da un sorriso intenso. Inoltre ho avuto modo di riflettere con ancor maggiore consapevolezza su una questione cruciale: la Fede cristiana esige, accanto all’Amore per il Signore nella vita di preghiera, un’attenzione forte nei confronti dell’altro, soprattutto se povero e sofferente; tutto questo non per una filantropia altruista verso l’umanità, ma perché nel singolo fratello che soffre si nasconde la presenza di Gesù, come avevano capito bene molti Santi della Carità. Non è possibile essere di Cristo e disinteressarsi del dolore e dei problemi di chi incontriamo sul nostro cammino… D’altronde il Vangelo stesso è chiarissimo su questo punto: “Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25, 40).  •

Francesco Capriotti

“Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi anche in mezzo alle peggiori angustie” (Evangelii Gaudium, 6). Una volta imboccata la strada della “Chiesa in uscita”, tracciata da papa Francesco, è bene continuare con le parole del pontefice che la definisce come una “comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano” (EG, 24).
Ciò mi è utile a precisare il motivo che ci ha spinti – noi comunità del Seminario di Fermo – a condividere una settimana con le Comunità di Capodarco, San Girolamo e Arcobaleno. Queste due comunità operano con persone disabili, malati psichiatrici e tossicodipendenti.
Lo spirito che mi ha animato per vivere questo periodo è quello cristiano. A volte è base di azioni di volontariato o caritative, ma troppo spesso non viene esplicitato, e si dà per scontato.
Si ha sempre l’idea di avere a che fare con persone che vivono la fede in Gesù Cristo in maniera integrale: culto, parola, carità. Si corre, cioè, il rischio di costruire racconti o discorsi poco comprensibili, che i più vedono mancanti di valido fondamento.
San Giovanni evangelista scrive che Dio è Amore. Quel Dio che ha donato la sua vita sulla croce è il centro del nostro agire. Attraverso piccole azioni speriamo di portare la Buona Novella anche a chi si trova in situazioni pressoché drammatiche.
Infatti “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EG, 49). Questa è la causa per cui ci siamo coinvolti in questa esperienza di servizio: la speranza di aver portato qualche seme di gioia a quanti abbiamo incontrato.
L’impatto iniziale con l’ambiente è stato notevolmente favorevole. Ho subito percepito un clima di accoglienza per noi esterni alla comunità. Tale clima ho notato presente anche tra i residenti.
Il fatto che la direzione ci abbia chiesto una sorta di resoconto critico, da presentare alla fine dell’esperienza, è prova concreta di questa apertura. Ovviamente non si chiede a chiunque capita di dare consigli sul proprio lavoro.
L’invito è stato l’occasione per raccontare la mia significativa esperienza.
Come primo elemento, ci tengo a sottolineare l’umiltà degli operatori. Sono stati molto attenti e premurosi nei nostri confronti. Ho trovato la conferma di questa umiltà nei valori promossi dalle comunità stesse.
Come, infatti, non parlare di umiltà quando una comunità esiste non per aiutare a breve tempo delle persone, ma per proporre e promuovere progetti di vita per ciascuno degli ospiti? Come non fidarsi di chi aiuta a vivere autonomamente con propri mezzi? Come non vedere il cielo in chi aiuta a trovare la via della felicità, nonostante le difficili e diverse situazioni?
Tale comportamento denota come oltre alla solidarietà ci si debba spendere anche per la giustizia. Ci si deve battere perchè ciascuna persona possa ricevere ciò che è suo: i mezzi per vivere, la realizzazione personale, la libertà, indipendentemente dalle condizioni di disagio fisico o dai pregiudizi che molti “sani”.
Si può obiettare che tale offerta di giustizia risulta quasi impossibile nei confronti di chi è malato mentale o comunque si trova in condizioni irreversibili per altre malattie. Ma vedere come queste persone vengono coinvolte in lavori utili a sé e alla comunità (che non sono dei semplici passatempo) è un segnale forte di riscatto della vita, del loro valore, della loro contributo alla Comunità e alla società.
Anche la loro vita, come di ogni persona, ha un valore infinito, unico e irripetibile. Tale valore prescinde la malattia o il disagio. Tale umanità è stata riflessa anche negli occhi degli operatori. Erano infatti attenti, sensibili e preoccupati in ogni situazione di dare il meglio. Sono stato testimone di come hanno una marcia in più. Hanno un qualcosa di interiore che permette loro di uscire dai rigidi schemi della vita meramente lavorativa per lasciarsi sciogliere nella dolcezza di un abbraccio che ridona dignità a coloro che sembrano averla persa.
Propongo un secondo elemento di riflessione. Abbiamo non vissuto una semplice visita occasionale, ma abbiamo abitato la Comunità. Abbiamo cioè vissuto interamente per 5 giorni con i residenti: abbiamo dormito nella foresteria, abbiamo condiviso i pasti, abbiamo vissuto momenti di preghiera, abbiamo fatto qualche lavoretto… Soprattutto siamo stati “addomesticati”.
Io ho vissuto a Capodarco più che nella comunità di San Girolamo. È stata un’esperienza piuttosto forte. Ho vissuto il servizio straordinario come ordinario, come vita semplice di ogni giorno. Quotidianamente si porta il servizio al massimo grado spendendo le proprie forze, il proprio tempo, la propria esistenza. Quanto bene mi ha fatto provare sulla pelle tutto ciò!
Capire lo spirito che muove gli operatori, riscoprire lo spirito cristiano e umano che ha spinto noi a vivere questa settimana, è entrare nella logica di Papa Francesco: “la comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo” (EG, 24).
È stato certamente un momento di crescita significativo per me, oltre che per la comunità, entrare in sintonia con l’ambiente e abitarlo.
Mi sono intessuto nella quotidianità che talvolta ne ho sentito anche il peso, quasi come una noia che arriva laddove non si sa cosa fare della propria vita, quando c’è il dubbio.
Da queste riflessioni provo ad incoraggiare tutti coloro che operano per aiutare le persone a capire il vero senso della Vita. Ringrazio la Comunità di Capodarco affinché non lasci mai precipitare le situazioni dei vari ospiti nella depressione che segue la malattia. Ringrazio la Vita perchè mi ha fatto incontrare qualcuno che offre continuamente opportunità di crescita: lavoro, svago, compagnia.
Mi rammarico che la settimana è volata via velocemente. L’ho percepito quando ho salutato le persone della comunità, con cui ho condiviso un piccolo assaggio di Paradiso. •

Michele Gradozzi

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