“Consòlati Maria del tuo pellegrinare”
Il primo compito che impegnava noi ragazzi era di raccogliere il muschio “lo vellutino”, chiamato così perché il tappeto erboso alla base del presepio doveva quasi essere di velluto, morbido, verde e carezzevole al tatto. Si trovava nei fossati, estremamente curati dai contadini, perché gli alberi, che crescevano sulle loro sponde, fornivano la legna necessaria per riscaldarsi nei lunghi mesi invernali e per cuocere il pane nel forno attiguo alla casa colonica.
Le foglie, le “fronne”, erano di alimento delle mucche nelle stalle. Il fosso, “lu frattò”, con le sue diverse essenze: querce, acacie, mori, era per il contadino quello che il bosco rappresentava per l’economia agricola nel Medioevo.
Ci si recava per far la legna, per raccogliere le ghiande, alimentazione preziosa per il maiale; non è azzardato poi sostenere che le leggende medievali attorno a boschi incantati nei quali si potevano fare strani incontri con maghi e streghe, sono arrivate fino a noi e fino a qualche decennio fa quando si vociferava di querce secolari visitate di notte dalle anime dei defunti, dalle streghe che si davano convegno, luoghi da evitare quindi e soprattutto di notte. Sono strutture mentali di lungo periodo che sono tardate a scomparire nell’immaginario collettivo del mondo popolare.
Nei fossati si cercavano tronchi e radici che dovevano fare da monti e da grotte nel presepio. A questi, portati a casa, si aggiungevano specchi e carta stagnola per creare laghetti e corsi d’acqua, si circondava il tutto con frasche di pino fra le quali occhieggiavano le stelle, piccoli fori illuminati nel cielo di cartone blu che faceva da sfondo. Infine si apriva la scatola delle statuine che ogni anno si arricchivano di un nuovo personaggio: l’arrotino, il panettiere, il falegname, messi accanto all’immancabile pastore attorniato dal suo gregge di pecore; c’era chi suonava la cornamusa, chi faceva la polenta, il formaggio, chi cuoceva le caldarroste, la donna che lavava alla fontana, l’altra che portava l’acqua dal pozzo.
A scuola preparavamo, su carta ornata da luccicanti bozzetti natalizi, la letterina di auguri che, prima del pranzo di Natale, avremmo nascosto sotto il piatto dei genitori, per riceverne qualche piccola mancia.
Non mancavano poi le recite classiche, a contenuto religioso, preparate con le maestre o le poesie: “Consolati, Maria del tuo pellegrinare. / Siam giunti. Ecco Betlemme, ornata di trofei. / Presso quell’osteria, potremo riposare, /ché troppo stanco sono e troppo stanca sei… È nato il Sovrano bambino./ La notte, che già fu sì buia,/ risplende d’un astro divino…” (Guido Gozzano).
E ancora: “Udii tra il sonno le ciaramelle,/ ho udito un suono di ninne nanne. / Ci sono in cielo tutte le stelle, / ci sono i lumi nelle capanne. // Sono venute dai monti oscuri/ le ciaramelle senza dir niente;/ hanno destata ne’ suoi tuguri/ tutta la buona povera gente…” (Giovanni Pascoli). C’era un tempo in cui il Natale era questo. Bastava poco per essere felici. Lo si aspettava con trepidazione, quando poi arrivava qualche forte nevicata, allora la gioia era ancora maggiore. Anche nella stagione della maturità, dai ventisette ai quarantasette anni trascorsi a Giussano, ora provincia di Monza e Brianza, il presepio, fatto con poche cose ci ricordava che era Natale.
La tradizione di allestire il presepio in casa dura tuttora. Mia figlia ha fatto sempre il presepio fin da piccola, ora che è mamma, lo prepara con largo anticipo coinvolgendo nell’allestimento il figlio più grande, la bambina è ancora troppo piccola.
Due nipotini con i quali sto assieme per la maggior parte del giorno. In casa mia invece è mia moglie che si occupa del presepio. In passato era quello classico, con il vellutino, la carta stagnola, le statuine, la capanna, gli angioletti, Gesù Bambino, la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello. Da un po’ di tempo ha scelto di acquistare, ogni anno, statue e figuranti di una certa dimensione, rigorosamente di plastica, per limitare i danni. Il parco delle statuine si è andato via via arricchendo. Ha tolto il vellutino perché sporca. La base superiore del mobile della sala basta e avanza per allineare il tutto.
È una tradizione, quella del presepio, che ho sempre amato. Vi trovo una continuità della vita, anche se quest’anno c’è tanta tristezza per il terremoto che ha sconvolto la vita di tanti. Il mio pensiero va a loro ogni giorno, a quelli che non ci sono più, ai sopravvissuti e a quanti vivono sradicati dai propri territori. •