La Comunità di Capodarco in udienza privata dal Papa
Enrico Mentana, giornalista e direttore del Tg de La7, e Andrea Pellizzari, direttore artistico del Premio L’Anello debole e volto noto della tv, incalzati da don Vinicio Albanesi. Si è aperta così la due giorni di celebrazioni per i 50 anni della Comunità di Capodarco. Un incontro sul presente dell’informazione e dell’impegno sociale, tra disinteresse dei media, delega interessata dello Stato e senso di solidarietà delle nuove generazioni. Una presenza apprezzata quella di due “vecchi” amici di Capodarco, che non sono voluti mancare – nonostante i tanti impegni – in un momento tanto importante per le realtà di Capodarco (14 in tutta Italia).
L’informazione e la fragilità scomparsa. Per don Albanesi, la fragilità sembra scomparsa da cronache e commenti. Un aspetto confermato da Mentana, secondo cui “la fragilità riemerge solo per fatti di sangue. E’ un problema di cultura, di comunicazione”. E per il direttore del Tg de La7, tre sono gli aspetti da sottolineare: “Poco si vuole ascoltare delle vicende di chi soffre, e anche chi soffre vuole sapere poco delle proprie vicende. Poi succede che nell’informazione si è un po’ essiccata la ‘pietas’ professionale. Le cause? Io penso per vicende tipo mafia capitale, dove si è visto il ruolo di poche combriccole di delinquenti che hanno buttato una luce sinistra sul mondo della cooperazione. L’altra è la questione migranti. Su questo tema tutto viene assorbito dall’assurdo match sui migranti: accoglierli, non accoglierli, chi ci mangia, chi non ci mangia, tutte le polemiche quotidiane, ecc… Ciò ha reso aridi gli italiani sui temi del quotidiano, della capacità di ascolto, della consapevolezza del disagio. Elementi importanti di un paese che pure non è egoista. In Italia c’è nel fondo uno spirito di comunità positiva. Tutti questi avvenimenti, però, hanno rappresentato come una sorta di bombardamento e ci si è trovati a raccontare ciò che è in prima fila, dimenticando il resto”.
Non solo. Per Mentana “ci si ricorda dei temi sociali quando si deve contestare chi governa. Ricordo la campagna elettorale di 10 anni fa, quando si diceva che la gente non arrivava alla quarta settimana. Vinse il centrosinistra e alla quarta settimana improvvisamente ci si arrivava…”. Insomma, c’è anche un uso strumentale del disagio.
Ma è davvero impossibile farsi ascoltare? “Voi conoscete chi aiuta davvero – ha continuato Mentana rivolto alla platea -. Nessuno ha la ricetta. Io penso che un Paese moderno, che ha coscienza di sé, deve sapere fare un welfare dignitoso, che restituisca dignità a tutti. La ricetta è incalzare, farsi sentire. Oggi le categorie che non hanno ascolto sono disabili e giovani. Quando c’è una fabbrica che rischia di chiudere, i sindacati indicono uno sciopero, e improvvisamente attirano attenzione. Ma è a tutela di chi un lavoro ce l’ha. E chi bussa da fuori?”.
Sarebbe importante, allora, ricominciare dalla scuola. “Gli insegnanti si sono arrabbiati per la riforma, ed è giusto. Ma se fossero così bravi a rappresentare questi aspetti, al di là dei programmi di scuola… Insomma, se queste problematiche non si cominciano ad affrontare in classe, non c’è telegiornale che tenga. Una informazione infarcita di precetti di buona volontà… Ma non bisogna essere dolci, bisogna rappresentare la foto più drammatica. E se non c’è una preparazione di fondo delle nuove generazioni, si può anche provare a raccontare ma è davvero difficile!”.
Il welfare oggi sembra procedere secondo concetti come solidarietà, professionalità e risparmio. “Ma voler bene a qualcuno non può essere comprato – ha incalzato don Vinicio -. Ci dicono: eccoti mio figlio, gli devi voler bene, mi devi far spendere poco, devi fare tutto a norma. Ma non è facile gestire così la situazione!”. All’analisi ha così risposto Andrea Pellizzari: “In tutte le professioni c’è la volontà di metterci la passione. Voi di fondo sentite una spinta che vi porta a fare questa cosa. Nella grande confusione di questo periodo si perde un po’ il limite di quello che si fa per passione e di quello che è la professione. Agendo per passione, si è disposti a metterci più sacrificio. In caso contrario ci si attiene alle regole e ai limiti. Ecco, voi vivete questa situazione. Credo che a fare il vostro lavoro ci voglia molta passione. Lavorare con le persone ha bisogno di una vocazione, al di là dei paletti posti dalle norme. Concordo sul fatto che ci siamo inariditi. Per questo dobbiamo ricostruire la passione nel fare le cose, ma anche i valori”.
Per Enrico Mentana però “ci vuole anche altro. Anche quando si fa solidarietà”. E ha spiegato: “Nelle scuole si insegna che esistono le comunità? No. Sono luoghi che si vorrebbe non esistessero. Nelle fiction, in tv c’è la perfezione. Ma la realtà è la realtà e non va deformata né in senso pietistico né altro. Si deve pretendere”.
Poi si è chiesto: “Com’è che le comunità arrivano da uomini che hanno sposato la religione? Le varie comunità di accoglienza venivano viste con sospetto: perché le fa la chiesa? Ma perché non le ha fatte lo stato, dico io? E anche oggi lo stato delega. E questo dimostra che la volontà di solidarietà non è dentro le nostre istituzioni”. Quindi un riferimento alla politica: “Il concetto di solidarietà, anche da sinistra, è sempre stato visto come qualcosa di pericoloso perché dava potere. E il paradosso è che molti uomini di sinistra sperano adesso solo in Papa Bergoglio! Hanno sempre donato tante parole, pochissimi fatti”.
Don Vinicio Albanesi e Don Franco Monterubbianesi, presidente e fondatore della Comunità di Capodarco
Sul tema scuola, giovani e informazione e tornato anche Pellizzari: “Per i giovani è molto difficile farsi avanti… C’è voglia, ma perdono facilmente le speranze. Si scontrano con un muro di gomma. Anche il web, per esempio, è terreno per i privilegiati. Che è fatto di conoscenza e disponibilità finanziaria. Per questo è importante fare comunità e avere strumenti e persone con cui costruire le cose. Mettendo insieme le persone si possono ottenere obiettivi”.
Far emergere il disagio e offrire strumenti che consentano il superamento. Da una parte la mancanza di solidarietà, dall’altro lo Stato che delega la risoluzione dei problemi, mettendo però una serie di legacci che fa morire. “Vigliacchi due volte – urla don Vinicio .-: prima ti dicono ‘pensaci tu’, poi però esigono che si rispettino le regole dell’hotel a 5 stelle! Come rompere questa catena?”
Mentana: “Si rompe rispettando le regole. Siamo figli di una generazione che se ha fame mangia gli avanzi. Ma le regole ci sono e vanno rispettate. Anche se a volte si ha l’impressione di uno strano accanimento. Allora ci vogliono patti chiari. Voi siete il ‘salvavita Beghelli’ di famiglie che non vogliono vedere. Ed è anche vero che il nostro Paese vuole fare la Svezia sulla pelle degli altri. E vuole gli hotel per anziani che ci sono negli Stati Uniti, dove però c’è l’etica del distacco. Ma queste cose, ripeto, vanno insegnate nella famiglia e a scuola. Bisogna recuperare la dimensione sociale. Bisogna che sia obbligatorio venire qui, in questa comunità, una volta a settimana. Il sindaco dovrebbe essere qui una volta a settimana, il consiglio comunale pure. Fai venire qui i giornalisti – aggiunge rivolto a don Vinicio -, cosi imparano a conviverci. Occorre avere le palle per starci dentro a queste cose!”. E annuncia: “Visiterò entro un anno tutte e 14 le Comunità legate a Capodarco in Italia”.
Chiude Pellizzari: “Io credo che 50 anni di storia abbiano fatto la differenza. Penso veramente che una parte di quello che è stato il cambiamento nel sociale in Italia sia opera di queste comunità. Che hanno seminato e fatto crescere la solidarietà. E su questa strada occorre continuare. La storia va fatta conoscere a più persone possibili. Redattore sociale, l’Anello debole sono tutte uscite importanti verso l’esterno. Ma occorre ancora di più. Dove c’è scambio, dove si dibatte, dove ci si incontra nasce la solidarietà”.
Un’utopia che si fa storia. A chiusura la proiezione il docu-film “Un’utopia che si fa storia. La Comunità di Capodarco” (75’), realizzato dalla regista Maria Amata Calò con Roberto Fittipaldi. “La cosa che mi è piaciuta è la dialettica, ho visto una comunità che mette in discussione se stessa e il suo territorio, che non dà per scontati stereotipi buonisti, che si mette a nudo. – ha detto Maria Amata Calò -. Non ho trovato stanze chiuse. Il nostro viaggio è stata una condivisione, io vivo il lavoro in modo totalitario e questa avventura, iniziata i primi di giugno e terminata pochissimi giorni fa, è stata una fetta della mia vita che ho condiviso con ognuno. Spero non aver dato un’interpretazione ma di aver raccontato quello che voi siete”. “Capodarco ha fatto breccia nel mio cuore, è stata un’esperienza favolosa, esaltante, in cui ho cercato di raccontare i fatti mettendoci non solo il pensiero ma un pezzo del mio cuore. – ha aggiunto Roberto Fittipaldi -. Ho conosciuto un arcipelago con tante isole, ogni comunità è unica ma poi si riconosce in una matrice comune: la solidarietà, la fede non detta, non dichiarata, che si tocca, che si guarda negli occhi. La Comunità di Capodarco abbraccia tutte le fragilità, e io nella mia fragilità ho incontrato questo mondo di cui ora mi sento parte”. (da.iac) •