L’Italia s’è persa

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Lla felicità in un Paese che non è nè per giovani né per vecchi

Durante un incontro di redazione, una collaboratrice ha suggerito il tema della felicità. Ha esordito dicendo: “Sapete che due nostri amici in pensione hanno venduto tutto e si sono trasferiti in Portogallo? Staranno meglio. Il Portogallo è organizzato per offrire servizi alle persone anziane”. Potremmo trattare questo tema. Un altro collaboratore ha aggiunto che anche i giovani cercano felicità fuori dell’Italia. Espatriano per cercare fortuna, lavoro, sistemazione. Da questo iniziale confronto è nato il tema dell’attuale numero. La discussione si è poi allargata, ampliata, sviluppata con considerazioni filosofiche, teologiche, sociologiche, psicologiche.
Ma ritorniamo al tema. L’Italia dunque non è un paese per giovani ma non è più neppure paese per vecchi. Ma che Paese è? Per chi è? E che cosa è soprattutto la felicità che cercano?
In Italia il benessere scarseggia. I soldi non fanno la felicità, ma certo aiutano. Quasi la metà delle famiglie non riesce a far quadrare i conti rivela l’Eurispes nel Rapporto Italia 2017.
Anche Dante, il sommo poeta, fu costretto ad espatriare perchè “libertà vo cercando”, diceva. Oggi forse avrebbe detto “Felicità vo cercando”.
Nel suo ultimo libro, Felicità d’Italia, Piero Bevilacqua indica l’individualismo come causa della infelicità. “Dopo trent’anni di neoliberismo che ha messo al centro l’individuo – scrive –, appare chiaro che l’edonismo porta all’infelicità e all’anomia della società”. Sono i non valori che annegano il sorriso e la serenità: i rapporti umani superficiali, i sentimenti volatili, la competizione esasperata. “Un individuo che galleggia in questo mare in tempesta è disperato, in perenne gara con l’amico, con il collega. Deve dare sempre il meglio di sé, perché questo richiede la cultura dominante. La normalità è proibita”. Sempre Bevilacqua scrive: “Gli italiani devono riscoprire la dimensione del conflitto organizzato. Solo chi lotta contro le ingiustizie prova speranza che è un elemento della felicità. Impegno politico e felicità individuale si toccano”. E ancora: “Difendere nei territori spazi alternativi di produzione e consumo non dominati dall’ossessione del profitto, costruire aree di gratuità, di cooperazione solidale vuol dire far fiorire nuove logiche sociale all’interno dell’economia di mercato.
È un’impresa complicata riscoprire la dimensione collettiva della felicità. Soprattutto ai tempi di facebook. I social media condizionano la formazione dell’identità individuale. Consentono a chi li frequenta di elaborare una rappresentazione virtuale di sé. L’online sconfina sempre più spesso nell’offline. Il narcisismo prevale sulla condivisione. E la gioia diventa una bandiera da ostentare, una cortina fumogena che serve a celare le proprie fragilità, in una sorta di perenne “Happism 2.0” come lo definisce Bruno Rossi, docente di Pedagogia generale all’università di Siena nel libro Pedagogia della felicità. “Internet – scrive Rossi -, ma soprattutto i social network, si configurano come il primo contesto sociale capace di dare una risposta alle richieste di soggetti infelici: isolati, separati, antisociali, bisognosi di fuga e di evasione dalla realtà esterna, nonché da quella interiore. Tali mezzi tecnologici alimentano e sostengono così un ambiguo senso di felicità”. Si crede di riempire il quotidiano di utopie e fascinazione, sostiene il docente di pedagogia, “di travestirlo di magia, così da poterlo vivere senza interferenze etiche, senza legami sociali vincolanti, senza identificazioni collettive impegnative e soffocanti, senza traguardi e senza radici. In questo modo si ritiene di approdare al lido della felicità”.
Ma si può imparare l’arte di essere felici? Si può coltivare? È un traguardo raggiungibile?
Non ci sono ricette allettanti, né vademecum seduttivi. La felicità dipende dalla capacità di costruire la propria vita in maniera autentica. Oggi più di ieri si deve coraggiosamente dire di no all’effimero, all’inautentico, al mediocre, al deteriore, al convenzionale, al volgare. La felicità non è un’emozione di breve durata bensì un sentimento che si guadagna nel corso di un’intera esistenza. Non è detto che il percorso verso la felicità sia costellato di grandi gesti e svolte clamorose. Ricordo mia madre felice. Mentre puliva casa o preparava il sugo spesso cantava e aveva negli occhi quella pienezza che soltanto una persona felice può diffondere. E non ha mai varcato i confini delle Marche! •

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